Dopo una decina d’anni, il capoluogo lombardo rinnova l’invito a confrontarsi con
Aldo Rossi (Milano, 1931-1997) e con i suoi disegni di architettura; un invito che andrebbe ripetuto periodicamente. Un confronto è infatti tanto necessario quanto l’esigenza di interrogarsi sul cammino di un’architettura contemporanea che punta tutto ormai sulle archistar, costruendo immagini che dovrebbero al limite far presa, attraverso i magazine, su qualche sprovveduto.
Invece, la proposta di questi disegni, una quarantina fra studi e schizzi, insieme a tre plastici, riconduce al fare teorico di Aldo Rossi. E ciò non è ancora sufficiente, perché forse la lezione di Rossi ha un peso tale che molti tendono ad aggirarla, sia per le sue implicazioni che per la complessità dei contenuti. La domanda da porsi è se si sono veramente fatti i conti con la sua architettura o se invece se ne sia solo parlato perché proprio non se ne poteva fare a meno.
Guardando questi disegni, che vanno dagli anni ‘60 agli anni ’90, e pensando a chi ha raccolto meglio un’eredità teorica, può venire in mente solo
Massimo Scolari. Se, nel rifiuto di una facile iconografia e di una figurazione moderna, Rossi si spinge verso un “racconto” architettonico, che realizza nei suoi progetti, Scolari prosegue verso un’architettura-pittura che prende in esame in modo totale la rappresentazione delle forme.
Questi suoi disegni partono proprio dall’attenzione che Rossi pone alla teatralità della costruzione architettonica, una teatralità non retorica, ma necessità teorica di affrancarsi dalla funzionalità in architettura. Traspare la ricerca di un ordine interno che sospende questioni che altrimenti si rivelerebbero pure suggestioni. A sottolineare tutto ciò sono presenti allora gli studi per il quartiere
Gallaratese di Milano, i progetti per il
Cimitero di San Cataldo a Modena del ‘71, ancora gli studi per la
Scuola di Fagnano Olona del ‘72, ma anche il
Progetto per l’unità residenziale in zona Vialba a Milano, la planimetria e il prospetto del
Teatro della Pilotta, lo studio per il complesso alberghiero e ristorante del
Palazzo di Fukuoka o quello per il
Palazzo dei congressi di Milano del 1988.
Le tecniche di composizione vanno dal pennarello all’olio, dall’inchiostro al pastello, dalla matita nera a quelle colorate, dall’acquerello al collage, spesso usate sui medesimi supporti come la semplice carta o la carta velina, e anche il cartone. In tutti questi disegni c’è un forte accento su un elemento fondamentale del suo progettare, ossia il discorso sulle cose, sugli oggetti che sono sempre gli stessi nel tempo. Fienili, stalle, fabbriche e officine con una sovrapposizione di senso “
che svela problemi antichi” e di sempre. Torri e fari, che spesso troviamo come forma o matrice nelle opere di Rossi, sono state costruite per osservare, ma in realtà l’architetto pensa che sono spesso fatte per essere osservate.
I disegni gli servivano per osservare “
dall’interno di un paesaggio dove si può anche e non necessariamente essere osservati”. Tutti comunque sono vere e proprie esercitazioni che portano a forme e volumi possibili. Sono prove e abbozzi in cui esercita “
una costruzione inconscia”, una via parallela all’architettura che non ha realizzato. Ma che doveva essere documentata.
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I disegni di Aldo Rossi......
"ho detto tutto" direbbe Totò!