La poetica di
Eduardo Souto de Moura (Porto, 1952) è stata un’affascinante lezione di onestà e chiarezza, che l’architetto portoghese ha offerto a conclusione del convegno/evento
Ricordo al futuro. Patrimonio dell’esistente e paesaggi urbani contemporanei, curato da Carmen Andriani e svoltosi il 22-23 ottobre al Piccolo Teatro Arsenale di Venezia.
In continuità con le questioni sollevate dal convegno su modalità nuove e possibili di reinterpretazione e appropriazione del concetto di patrimonio da parte della cultura, dell’arte e dell’architettura contemporanee, Souto de Moura ha presentato alcuni progetti che affrontano il tema del rapporto con la preesistenza.
Mentre
Architecture beyond Building espone la rinuncia alla realtà fisica dell’architettura, Souto de Moura ha proposto un repertorio di scelte costruttive e di dettagli, parlando di ciò ch’è adatto alla grammatica dell’edificio, di ciò che è
adequado, adeguato a mantenere l’identità del contesto in cui si interviene.
“
Ci sono due modi di fare architettura: come gesto oppure considerando che l’architettura è la vita pietrificata”: ciò implica l’annullamento di qualsiasi autoreferenzialità, gratuità, arbitrio formale, nella ricerca della soluzione più corretta, che sia dettata dalla necessità e da una conoscenza approfondita del luogo.
Per il padiglione portoghese, con cui è presente all’11esima Biennale di Architettura assieme all’artista
Ângelo de Sousa, Souto de Moura affronta il problema della scala del Fondaco Marcello in relazione alla quinta degli edifici sul Canal Grande, sovrapponendo alla facciata uno specchio alto 16 metri. Tale scelta ha implicato la ricerca di una soluzione costruttiva che permettesse di intrecciare il nuovo con l’esistente, senza intaccare la preesistenza, perché “
questi edifici sono come le donne: si possono guardare ma non toccare”, scherza Souto de Moura a proposito del divieto di agganciarsi direttamente ai muri del Fondaco.
Il risultato è una struttura che, zavorrata con blocchi di mattoni e cemento dall’interno, sostiene i montanti verticali esterni per la superficie dello specchio sul Canale. Il dispositivo strutturale non è celato, ma completamente rivelato in uno spessore tra interno ed esterno, attraversabile grazie a un varco lasciato aperto tra i blocchi delle zavorre, che evoca l’esperienza spaziale di alcuni vicoli veneziani. Il paesaggio urbano è catturato dal movimento che si propaga tra l’acqua e gli specchi, in un continuo fluire d’immagini e diverse sfumature di senso.
Souto de Moura spiega che sulla facciata avrebbe voluto scrivere a caratteri luminosi
I’m a monument, la controversa frase di Robert Venturi in
Learning from Las Vegas, idea poi accantonata proprio per questo esplicito riferimento. Ne resta comunque il senso: la necessità di appropriarsi di nuovi codici visivi per la città contemporanea che, anche all’interno, attraverso lo spazio dilatato di molteplici riflessioni, continua a tracciare invisibili traiettorie visuali.
Arquitectura desassossegada è una riflessione sul rapporto tra l’io e il reale, tra un interno e un esterno e sul modo in cui questa rete di relazioni è controllata attraverso l’esperimento architettonico. È una sperimentazione sulla percezione visiva e sull’alterazione dell’immagine riflessa, diffranta e moltiplicata, scomposta e ricomposta attraverso lo sguardo. È un interrogarsi sulle responsabilità delle immagini prodotte e consegnate alla realtà. “
Poiché io ho la misura di ciò che vedo” (Pessoa,
Il libro dell’inquietudine).