Christian Kerez (Maracaibo, 1962; vive a Zurigo) ha esposto il lavoro degli ultimi vent’anni di carriera in una mostra che ha goduto di una particolare leggerezza per la chiarezza dell’allestimento e la linearità dei progetti visibili. È Svizzera italiana, ma pur sempre Svizzera. Ecco infatti, all’ingresso, una pila di piantine con la planimetria ragionata dell’unica sala dedicata alla rassegna. Davvero impossibile perdersene un particolare.
La lunga stanza rettangolare è ribassata rispetto al corridoio di accesso. Tramite delle scale laterali si entra e ci si mette in disparte, il tempo che occorre per visitare l’esposizione. I progetti sono raccontati attraverso plastici, fotografie di Kerez stesso e disegni. Proprio i modelli sembrano essere il supporto progettuale più adatto al suo metodo. Cemento, cartone, gesso, depafit, scotch di ogni tipo, scarti di compensato e legno vengono assemblati con senso particolare e velocità per studiare le possibili configurazioni dei progetti.
La capacità espressiva immediata dei modelli trasforma velocemente il normale visitatore in un incallito curioso. Eccolo avvicinarsi al plastico, girarvi attorno, sporgersi per notare rampe di scale interne, abbassarsi a vedere i percorsi scavati nel suolo e toccare le superfici per svelare la natura del materiale. Proprio questi modelli, tutti in scale differenti -dall’1:50 all’1:33 e all’1:10- riflettono l’idea che Kerez ha dell’architettura: un continuo studio sullo spazio.
L’incessante ricerca formale e spaziale traspare nella definizione dei plastici che non sono finiti, sono spesso abbozzati o saldati precariamente tra loro con lo scotch, da quello di carta al nastro isolante. Kerez è consapevole che di definitivo nell’architettura non c’è nulla, si tratta di una ricerca continua. Lavora credendo in una progressione non finita dei modelli, un percorso che genera alternative e temi.
Affiancato ai modelli c’è poi il prodotto finito, l’edificio mostrato attraverso il suo iter progettuale. Dagli schizzi a mano alle piante esecutive, dettagli e planimetrie tutti ordinatamente disposti su tavoli, tra un modello e l’altro, completano la mostra. Alle pareti, grandi e suggestive foto scattate dall’architetto offrono un layer ulteriore della cura progettuale dedicata a ogni aspetto del costruito. Si tratta delle relazioni che la luce è in grado di instaurare, nei progetti finiti, con le superfici lisce e lineari.
Ampio spazio è dedicato al nuovo Museo d’arte moderna di Varsavia, vincitore nel 2007 del concorso internazionale dedicato. La realizzazione del museo -destinato a sorgere nel centro della città, nelle vicinanze dell’edificio di 230 metri di altezza che ospita il Palazzo della Cultura e della Scienza- fa parte di un più ampio intervento di rivitalizzazione dell’area della capitale polacca ed è stato definito da
Libeskind, membro della giuria, come un esempio di edificio d’avanguardia capace di armonizzarsi con il contesto.