Cinque luoghi suggestivi in un itinerario che tocca Brindisi, Bari e Lecce. Dalle campagne di Fasano all’imponente Basilica di San Nicola, un viaggio alla scoperta di architetture uniche e storia antica attraverso cinque chiese simbolo della Puglia.
Al centro della città di Bari vecchia a pochi passi dal mare, la Basilica di San Nicola, svetta fra una stradina e l’altra mostrandosi come una delle più significative e antiche testimonianze del romanico pugliese.
Il corredo scultoreo della chiesa è di altissimo livello artistico e storico, basti pensare alla Cattedra dell’Abate Elia sulla quale si incontrano la trascendenza dell’arte bizantina, retaggio del Catepanato e un umanesimo in germe preannunciato dall’espressione di rabbia e stanchezza dei telamoni laterali che sorreggono a fatica il seggio. Il luogo di maggiore interesse e fascino è però la cripta sottostante. La cripta, infatti, ospita gran parte delle reliquie di San Nicola di Bari (San Nicola di Myra), Santo di culto tanto per la religione cattolica quanto per quella ortodossa, in particolar modo per la chiesa ortodossa russa. Pellegrini dal mondo, giungono a Bari, rendendo la cripta della Basilica un inusuale luogo di preghiera per confessioni differenti.
La volta a crociera poggia su ventisei colonne, due delle quali di marmo numidico, due di breccia corallina, una di marmo caristio e le altre ventuno di marmo greco, tutte sormontate da differenti capitelli. La più importante è la colonna nell’inferriata anche detta colonna miracolosa. Si tratta di una colonna di marmo rossiccio intorno alla quale racconti storici e fantastici si mescolano attirando visitatori che accorrono per toccarla convinti delle sue proprietà taumaturgiche e amorose: la leggenda vuole che girarle intorno per tre volte renda possibile trovare l’amore entro l’anno successivo.
Un luogo sospeso fra inferno e paradiso, a Monopoli, nel barese, la Chiesa di Santa Maria del Suffragio è stata costruita nei primi anni del Settecento e presenta una serie di caratteristiche che la rendono tetra quanto affascinate. Ad accogliere i visitatori il Trionfo della Morte sul portone a scomparti lignei: “gli strumenti del potere” in alto e in basso gli “strumenti del lavoro” fanno da sfondo alla Morte, effigiata in due scheletri centrali, speculari e uguali fra loro, non importa chi dei due abbia indossato la corona o impugnato la zappa in vita.
Piccoli teschi urlanti “memento mori” ed altri moniti fatali conducono all’interno della chiesa a croce latina con cinque altari, il maggiore in stile barocco classico e pietra leccese. Basta poco, in questo tempio della morte, a rendersi conto di non essere soli. Nel giardino della sacrestia una scala conduce ad un sepolcro sotterraneo: vestiti con tuniche bianche, nere e rosse i confratelli vissuti fra Ottocento e Novecento e i loro parenti aspettano silenziosi e pazienti chi voglia far loro visita con targhette che riportano i nomi di ogni defunto e la professione svolta in vita.
Il microclima di Santa Maria del Suffragio sembra essere accogliente e ideale per i passati a miglior vita, infatti, ha permesso una sorta di “essiccazione” delle salme che hanno così conservato organi interni, pelle, denti, e qualche capello. In una teca più piccola, un po’ distante dalle altre, vestita in candidi abiti con indosso una cuffietta, una mummia-bambina, l’unica in tutta la Puglia, conservata intatta sin dai primi dell’Ottocento è al centro dell’interesse dei più curiosi che, scendendo nella cripta, si trovano a partecipare a questo macabro incontro.
Immerse nella macchia mediterranea, ai lati una lama, tre chiese scavate nella roccia tracciano i resti di un insediamento rupestre, quello di Lama d’Antico, nelle campagne di Fasano, in Puglia. Si tratta di un insediamento secolare così come lo sono gli ulivi che tutt’ora lo abitano e che conservano ancora la memoria della frenetica vita di un antico villaggio al centro della quale vi era la fede religiosa.
La più importante di queste chiese rupestri, la Chiesa di Lama d’Antico, sembra essere, per dimensione e struttura, una vera e propria cattedrale scavata nella roccia, con elementi della tradizione orientale fusi all’arte latina medioevale. Un’altra chiesa, quella di San Giovanni conserva ancora l’iconostasi, elemento di fondamentale importanza liturgica nelle chiese rupestri che, insieme alle scene pittoriche e alle icone dei Santi, lascia pensare ad un modello di antica chiesa bizantina. Differente dalle precedenti è la conformazione della chiesa di San Lorenzo, un piccolo ingresso conduce ad un altro spazio, probabilmente quello che accoglieva le celebrazioni, ricco, a sua volta, di decorazioni pittoriche.
Si trattava sicuramente di tre centri di culto di rilievo come testimoniano i resti dei numerosi affreschi che mantengono il ricordo dei loro vivaci colori e rappresentano uno dei più tangibili e studiati esempi di pittura rupestre in epoca medioevale. Santi e Sante insieme al Cristo in Trono risiedono sulla nuda roccia da quasi 800 anni a testimonianza della devozione popolare medioevale tanto quanto dell’inscindibile legame che da sempre la fede ha con l’arte la quale perdura in queste grotte nella sua bellezza e ricchezza storica e archeologica.
Tra le numerose Chiese di Galatina, in Salento, merita una certa attenzione la Cappella di San Paolo, nelle adiacenze della Chiesa di Pietro e Paolo, santi patroni della città . Si tratta di una piccola cappella privata risalente al XVIII secolo. La su facciata è una testimonianza dello stile barocco leccese, mentre l’interno, costituito da una volta unica, ospita un altare settecentesco con una tela che raffigura il Santo Patrono e il pozzo sacro.
Secondo la leggenda Galatina fu una tappa del viaggio dei Santi Pietro e Paolo i quali, giunti in paese, furono ospitati da un galatinese la cui casa sorgeva dove è stata costruita la Cappella. In segno di gratitudine per l’ospitalità recatagli San Paolo conferì all’uomo e ai suoi discendenti l’immunità dai ragni velenosi e il potere di guarire tutti coloro che ne fossero stati morsi. Da allora i galatinesi sono immuni dalla taranta, e Galatina è il luogo sacro in cui i “tarantolati” si recano alla ricerca di una cura tramite la grazia.
Il rituale di liberazione avveniva il 29 giugno e consisteva nell’accorrere nella casa della vittima del morso (di solito si trattava di donne nubili) insieme a musicisti provvisti di un essenziale tamburello che con il suo ritmo incalzante dava il tempo alla frenetica e convulsa danza di cui la donna era vittima. Lo scopo era quello di portarla allo stremo, in modo che, tramite quello che veniva considerato un vero e proprio esorcismo, avvenisse la liberazione e purificazione. Alla fine del rito si giungeva alla Cappella di San Paolo dove, dopo aver bevuto l’acqua miracolosa e aver vomitato nel pozzo sacro si considerava la malcapitata libera e la grazia raggiunta.
Spesso si trattava di un processo che necessitava di essere ripetuto ogni anno, coloro che avevano ottenuto la guarigione, infatti, si trasferivano nelle vicinanze della Chiesa Matrice attuando formule e pratiche di devozione ancestrali. Oggi, in Salento, la “notte della taranta” ha raggiunto fama internazionale: le piazze, gremite di gente, accolgono danze e balli popolari all’insegna della tradizione.
All’estremità meridionale della Puglia, sospeso fra oriente e occidente, vi è un santuario dal duplice nome: Santa Maria “di Leuca” dal greco “leucos” ad indicare una terra rischiarata, resa “bianca” dal sole; e “de finibus terrae” nome latino che stava ad indicare quello che per i romani era l’estremo limite della civiltà . Dal 1990 eletta a basilica minore, sorge sulle fondamenta di quello che era un tempio dedicato alla dea Minerva. Al suo interno è conservato l’altare: “l’ara di Minerva” su cui i leuchesi offrivano i sacrifici alla dea.
Si racconta che San Pietro, durante il suo viaggio dall’oriente verso Roma, sbarcato a Leuca avesse deciso di convertire il tempio a luogo di culto per il cristianesimo. Tra gli alberi del viale che conduce alla basilica si trova la Croce pietrina, a testimonianza del suo passaggio. A causa della sua posizione (s)favorevole il santuario è stato distrutto e saccheggiato più volte, in particolar modo dalle incursioni di turchi e saraceni. L’interno è a navata unica con sei altari laterali. Sull’altare maggiore è collocato il dipinto della Madonna con Bambino o Madonna “de finibus terrae”, di Jacopo Palma il Giovane.
La tradizione vuole che Papa Giulio I nel 343 d.C in un viaggio a Leuca ne ricostruì il santuario e concesse l’indulgenza plenaria a chiunque vi si fosse recato in pellegrinaggio. Migliaia di fedeli da allora si incamminano fino ai confini della Puglia nel tentativo di conquistare la Porta del Paradiso. Lungo i cammini i pellegrini si riposano e rifocillano presso monasteri, chiese, ospizi che con il tempo si sono attrezzati per ospitare i viaggiatori. L’Assemblea Generale dell’Associazione Europea delle Vie Francigene ha riconosciuto l’itinerario da Roma all’estremità della Puglia verso Gerusalemme, un unico filo che unisce l’Europa da Nord a Sud, da Canterbury a Santa Maria di Leuca.
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