Categorie: Architettura

Bianco e nero a colori, scoprendo la Capri di Punta Tragara

di - 27 Luglio 2023

Che strano. Appena apro la porta della junior suite partono degli strokes di caixinha, grancassa e charleston inconfondibili. Le mani sono quelle di Dom Um Romão, celebre batterista jazz brasiliano. Un breve filler e si aggiungono la delicata chitarra di Antonio Jobim e il basso di Ron Carter. Red Blouse!, dico tra me e me, mentre mi assicuro che la porta sia chiusa bene. È la seconda traccia di Wave, disco del ‘67. Davvero inconfondibile. La cosa assurda è che il brano è partito con un tempismo perfetto. Come se fossero fuori la porta, con i loro strumenti, ad aspettarmi. Mi viene da sorridere. Non sarebbe stato facile sistemare la band del grande Jobim qui a Punta Tragara, prestigioso hotel caprese, arrampicato sull’omonimo promontorio che domina tutta la baia di Marina Piccola. Ma nemmeno impossibile. A pensarci bene, qui, tra queste mura, è passata la storia, ed essendo affiliata ai migliori network internazionali (Small Luxury Hotels, Virtuoso, Fine Hotels & Resorts e Traveller Made) in effetti anche il presente e il futuro.

Etro Pegaso Suite, Punta Tragara Hotel, Capri

La cosa mi diverte, mentre scendo le scale a fare colazione. Si sale e si scende spesso qui. Capri è verticale, ricordava Raffaele La Capria, scrittore napoletano e cantore innamorato dell’isola. E si cammina molto. Per guadagnarsi questo angolo di quiete qualche piccolo sforzo è richiesto. Non ci si arriva in auto, con van, solo a piedi. «Tutto un salire con lo sguardo, e con lo sguardo scendere», ricordava il famoso romanziere. Su quest’isola molto è cambiato ma molto è rimasto incontaminato, come 100 anni fa.

Punta Tragara Hotel, Capri

Si può infatti vivere l’esperienza unica di una haute cucine stellata quale quella di Luigi Lionetti, executive chef del progetto Le Monzù, tra pietanze gourmet (Bom bom di gamberi, Cappelletti di parmigiano vacche ross, Tataki di ricciola etc.) ma anche, all’occorrenza, con antichi sapori ricchi di memoria: la splendida torta caprese al nostro arrivo in suite (nata a inizio secolo da una dimenticanza del pasticciere Carmine di Fiore che non aggiunse farina all’impasto); una frugale insalata caprese (una sfida di alcuni cuochi a Filippo Tommaso Marinetti, che lamentava la poca digeribilità/futuribilità della pasta) o l’eterno spaghetto alle vongole veraci, piatto di memoria greco antica. E tutto questo nella magnifica veranda di Punta Tragara, simile a una plancia di comando di una grande veliero, dove più che guardare si ascolta l’azzurro, «Pur se non è lo stesso azzurro, mai. Cielo e mare si riflettono, sopra uno sempre l’altro sta».

Punta Tragara Hotel, Capri

Così come attraversare via Camerelle, vero e proprio giardino delle grandi maison come Gucci, Luis Vuitton, Chanel, Balenciaga, Ferragamo, che animano uno dei quartieri più chic e ricercati al mondo. Ma con, a poche decine di metri, la semplicità di gozzi allineati, silenti, appoggiati sulla battigia pendente di Marina Piccola in mezzo al trambusto di isolani e turisti. «Le temps modernes», avrebbe detto Le Corbusier, sono arrivati anche qui. Anche il grande architetto svizzero-francese, giunto sull’isola nei ruggenti anni ’20, avrà sicuramente apprezzato queste romantiche imbarcazioni e tratto ispirazione da questi luoghi, come dalla sensualità silenziosa e meditativa del belvedere di via Tragara, prossimo a una natura incontaminata e capace di donare paesaggi dipinti ad ogni ora del giorno.

La sfida del progetto Stracasa, antico nome di Punta Tragara, condiviso con l’ingegnere lombardo Emilio Errico Vismara, imprenditore visionario e creativo e proprietario anche di altri celebri hotel (Quisisana e Hotel Pagano) è stata quella di un’innovazione sofisticata e al contempo in armonia con il paesaggio e la natura circostante. I quattro piani della costruzione, tra ricoveri, spazi open e ampie terrazze, fioriscono come “emanazione della roccia”, come un “lichene architettonico cresciuto sul fianco di Capri”. «Per mettere al riparo il corpo, il cuore e il pensiero», ricorda l’architetto di La Chaux-de-Fonds. Parole ormai scolpite nella memoria dell’isola alla stregua dei tanti versi spesi dai poeti che l’hanno celebrata.

Punta Tragara Hotel, Capri

Le balconate, protette da porticati in cotto arancio, esprimono una propria ferrea geometria, linee definitorie in un disegno frastagliato dalle possenti forze della roccia caprese, come «Segni della civiltà bene impressi nei segni della natura» (Raffaele La Capria). E dopo quasi un secolo, permane quella sensazione di incredulità, di sublimità nell’affacciarsi da queste lussuose residenze e ammirare Saetta, Stelle e Scopolo, gli antichi faros su cui venivano accesi grandi fuochi di segnalazione per le antiche imbarcazioni greche.

Punta Tragara Hotel, Capri

E nonostante la sovraesposizione e le sovrascritture di tutte le arti (Joseph Rebell, Johan Christian Dahl, Albert Bierstadt, Omero, Virgilio, Jean-Luc Godard, Mario Martone, Liberato, Dolce&Gabbana) che tentano continuamente di carpire il segreto di questi diamanti incastonati nel mare, tra le terre vulcaniche e tufacee della costa campana. Lo stesso tema di roccia calcarea che, come una vibrazione, un sottofondo selvatico, emerge tra i muretti, le panche, le pareti di Punta Tragara, in un gioco ortogonale tra gli spazi matematicamente definiti dalla mente di le Corbusier e un’ancestrale energia materica, che pulsa, riscalda e raffredda.

Un precetto estetico e filosofico che gli interior designer succedutisi negli anni hanno sempre rispettato, fin dal 1968 quando il conte Goffredo Manfredi lo acquistò dal Marchese Reggio e lo trasformò nel 1973 in hotel 5 stelle lusso. Orate di marmo, limoni in vetrina in stile Capri-batteria, saraceni dorati, animali mitologici in porcellana, immensi arazzi a tema naturalistico, con scene di caccia e di lavoro nei campi che si arrampicano per le scale. L’ospite si riflette poi nell’intricata foresta di rami-lampadari, nello specchio parietale incastonato nel camino della hall come nella scultura di ceramica smaltata in platino dell’artista spagnolo Hayon. Il viaggiatore, di ritorno da escursioni che non dimenticherà, è così idealmente accolto e reso protagonista in una dimensione a metà tra l’onirico e il fotografico.

«Va bene ce ne andremo. Fai le valigie e andiamocene via» – «No io resto qui. Parti tu se vuoi». Il bianco e nero, a colori, è evento non raro a Capri. Ogni scatto sembra d’autore, basta aggiungere un filtro decolorante per calarsi in un film francese degli anni ‘60. Salire (di nascosto) sui tetti, in una Punta Tragara immersa nel sole e nel vento isolano, ti fa assaggiare quel brivido alla Godard, ti rende un po’ Paolo-Michel Piccoli mentre litiga con la Emilia-Brigitte Bardot sulla celebre scalinata di Villa Malatesta ne Le Mépris (1963). Entri in un film, in un romanzo, in un racconto di Rainer Maria Rilke, in un verso di Pablo Neruda, in un fotogramma di Oi Marì di Liberato.

Non fa eccezione Punta Tragara, immortalata da una indimenticabile serie di scatti del teatro area (la piscina con gli spalti) del fotografo delle star americane Slim Aarons. «Non fotograferò mai più una spiaggia in cui non ci sia una bionda», rispose provocatoriamente a chi gli chiedeva perché non fosse andato in Corea durante la guerra, come altri colleghi fotoreporter. Erano anni politicizzati, di giornalismo militante ma i suoi soggetti preferiti erano Marilyn Monroe, Jackie Kennedy, Audrey Hepburn. Una bellezza e una leggerezza rivoluzionarie. Ma qui, a Punta Tragara in particolare, il fotografo americano trovò negli scatti del ‘74 e dell’‘80 qualcosa in più. Un perfetto gioco di corpi e materia, una texture di linee delicate e possenti, opache e riflettenti, simbolo sia della Golden Age del turismo internazionale caprese degli anni ‘60-‘70 come di un entourage che, tutt’oggi e qui, ancora può ricevere il dono dell’immersione, della simbiosi con l’ambiente che attraversa.

Punta Tragara Hotel, Capri, 1974. Ph. Slim Aarons/Getty Images
Punta Tragara Hotel, Capri, 1974. Ph. Slim Aarons/Getty Images

Lasciandoci alle spalle la pellicola sgranata di Aarons e le murate moderniste di Le Corbusier, ci si incammina verso un viaggio ancora più a ritroso, tra gli antichi sentieri dell’isola. Basta superare la cupola bianca di Villa Discepoli, ammirare «Il momento supremo della bellezza mediterranea», delle case bianche arrampicate sulla collina e raggiungere la chiesa anglicana tedesca. Infine svoltare per via Padre Reginaldo Giuliani fino a via Tiberio. Lungo la via «Argentea d’ulivi», tra «Ombre di mirti e pensoso amaranto di cardi» (Ada Negri), il viandante si lascerà incantare da cactus, acanto, ginepri, lecci e pini, orchidee e fiori selvatici. Ma anche dal mistero di tante ville silenziose, come disabitate, eppure capaci di ingraziarsi la nostra vista con intricati cancelli, colonne adornante con poderose agave portafortuna, pergolati in castagno rivestiti di glicine e buganvillee. Un percorso che ci porta a Villa Lysis, incantevole magione in stile liberty, fatta costruire nel 1905 dal Barone Jacques d’Adelswärd-Fersen.

E dalla fiaba si giunge all’estasi dantesca. Qui, i sotterranei terrosi della fumeria, anticamente avvolti da vapori ed esalazioni dell’oppio e dell’oblio; il grande salone al piano terra, la camera da letto a esedra con vista Golfo e Monte Tiberio come quinte di dolore e godimento. Infine, in mezzo al boschetto della villa, un tempietto ionico, belvedere unico sulla Marina Grande, che ha donato rifugio e speranza al barone Ferson e a chi dopo di lui. È il privilegio della bellezza, è la promessa di una salvezza tutta terrena, una rigenerazione che l’isola di Capri offre da sempre a chi si affida a lei. Come le storie ascoltate fin qui da Rilke sulla pace e la serenità, da Neruda sulla libertà e l’ispirazione, da Gor’kij e Lenin sulla poesia della Rivoluzione.

Un percorso di ricerca, di ristoro, frutto non dell’intuizione di un singolo uomo, di una singola avventura esistenziale ma di un continuo passaggio di testimone tra cercatori, nodi di un tessuto collettivo che tiene in vita l’ultimo vero Grand Tour ancora in essere. E di cui il Punta Tragara Hotel ne è non punto di passaggio, ma tappa finale e ambita.

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