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Biennale d’Architettura 2023: tre Padiglioni tra Arsenale, Giardini e la città
Architettura
di redazione
Non architetti ma pratictioners, perché il cambiamento del mondo parte dal linguaggio che usiamo per definirlo e per definirci. Insomma, questa 18ma Biennale di Architettura sembra fare sul serio, almeno nelle intenzioni programmatiche di Lesley Lokko, prima direttrice africana nella storia dell’Istituzione. Dunque, un cambio di paradigma, iniziando dalle basi, ab origine direbbero gli antichi. Ma lo sguardo è tutto rivolto a ciò che sarà e quando si parla di architettura – pratica sperimentale sì, ma anche da attuare e attualizzare – non si sfugge da questo paradigma temporale. E infatti “Il laboratorio del futuro” ne è il titolo e considerando il peso delle parole, le aspettative non posso che essere alte. Dunque, cosa vedremo in Laguna, dal 20 maggio al 26 novembre 2023? Ecco un’anticipazione da tre padiglioni da non perdere – uno ai Giardini, uno all’Arsenale e un altro in città – i cui progetti sono incentrati su uno spostamento del punto di vista, con tutte le sfumature del caso.
Padiglione Lussemburgo chiama Luna, all’Arsenale
Preparatevi a un lungo viaggio: con il Padiglione del Lussemburgo, nelle Sale d’Armi dell’Arsenale, Francelle Cane e Marija Marić promettono di portarci sulla Luna, per dare un’occhiata alla Terra da un altro punto di vista. “Down to Earth” è il titolo del progetto, commissionato da Kultur lx – Arts Council Luxembourg e luca – Luxembourg Center e selezionato a seguito di una call.
Sembra fantascienza ma non lo è: sulla questione delle risorse extraterrestri, sul loro sfruttamento e sulle narrazioni che sono alla base dell’economia risultante, si riflettono questioni tanto annose quanto di strettissima attualità. Si parla del primo sviluppo degli insediamenti umani sulla Luna, del lavoro di estrazione di minerali e metalli rari dagli asteroidi, degli immaginari selvaggi di una crescita che, letteralmente, trascende i confini della Terra. Eppure sembra una storia già tristemente nota e che ha dato forma agli squilibri e alle asimmetrie del nostro tempo. Forse guardandola da un’angolazione eccentrica – ex antropocentrica – si potranno scoprire nuove cose, avere nuove idee?
Il team che lavorerà al Padiglione è composto, oltre che dalle architette e curatrici Cane e Marić, da contributor provenienti da diversi settori, dalla scenografia al video, dalla scrittura all’editoria. Eterogenei quindi i prodotti. L’artista Armin Linke ha corealizzato un film composto da materiali d’archivio e conversazioni con ricercatori, artisti, rappresentanti del settore estrattivo nello spazio e di altre organizzazioni con sedi in diversi Paesi.
Lev Bratishenko, insieme a Cane e Marić, curerà un workshop dal titolo “How to: mind the Moon”, nel quadro di una collaborazione tra il Padiglione del Lussemburgo e il Canadian Centre for Architecture, ai quali si aggiunge un gruppo internazionale di ricercatori impegnati in studi sulle attività estrattive nello spazio e sulla storia dei materiali, comprendente Anastasia Kubrak, Jane Mah Hutton, Amelyn Ng, Bethany Rigby e Fred Scharmen. I risultati del workshop andranno a costituire una banca dati dei materiali, con le storie politiche, ambientali e razziali di cinque materiali lunari correlati con l’edilizia.
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Padiglione Svizzera (e un po’ Venezuela), ai Giardini
Quest’anno il Padiglione della Svizzera, che tradizionalmente è tra le mete più interessanti delle Biennali, è rappresentato dall’artista Karin Sander e dallo storico dell’arte e dell’architettura Philipp Ursprung. Dunque, due figure parallele all’architettura, strumento da loro attraversato e praticato con altri mezzi, altre dimensioni.
Commissionato da Fondazione svizzera per la cultura Pro Helvetia, il loro progetto si intitola “Neighbours” e mette in evidenza sia la vicinanza spaziale e strutturale tra il Padiglione svizzero e quello venezuelano, sia il legame professionale tra gli architetti che li hanno realizzati: Bruno Giacometti, per lo Stato europeo, e Carlo Scarpa, per la nazione sudamericana. I due Padiglioni, infatti, sono gli unici ai Giardini a condividere una parete. Un’occasione architettonicamente empatica, attraverso la quale discutere sul concetto di vicinanza. E in un mondo con otto miliardi di persone – in crescita – e, soprattutto, con spazi sempre più chiusi e frazionati, è una questione centrale.
«Durante la Biennale Architettura 2023, il Padiglione svizzero non avrà la funzione di spazio espositivo per raccontare qualcosa sull’architettura ma l’attenzione sarà rivolta al padiglione stesso e alla sua complessa situazione formale e storica», spiegano gli organizzatori.
«I Padiglioni svizzero e venezuelano formano un insieme di straordinaria qualità architettonica e sculturale. A causa della loro funzione rappresentativa, essi sono però concepiti come unità distinte e dunque anche allestiti di conseguenza», raccontano Karin Sander e Philip Ursprung. «Abbiamo quindi cercato di ripensare le funzioni dei due padiglioni e del loro ambiente circostante e di superare i rispettivi confini mediante mezzi artistici. In questo modo ci interroghiamo sia sulle demarcazioni spaziali, culturali e politiche che sulle convenzioni della rappresentazione nazionale. Con un gesto utopico, al luogo contrapponiamo una realtà poetica che per un momento lascia posto a una nuova prospettiva».
Padiglione Estonia tutto da abitare, in città
Non è raro trovare in città le cose più interessanti della Biennale, spesso anche perché presentate in luoghi solitamente inaccessibili. Nel caso del Padiglione Estonia, si tratta di un appartamento affittato, vicino all’uscita posteriore del complesso dell’Arsenale, indirizzo: Salizada Streta 96, Venezia, ovviamente. E quindi, quale occasione migliore per ragionare sull’abitare? “Home Stage” è il titolo del progetto, presentato dall’Estonian Centre for Architecture, a cura di Aet Ader, Arvi Anderson, Mari Möldre (b210 Architects).
“Appartamento affittato in centro a Venezia”. A qualcuno con la passione per il mercato immobiliare saranno luccicati gli occhi. Sarà l’emozione di un ricordo domestico oppure la possibilità lucrativa? Senza nessun giudizio morale, entrambe le reazioni e, quindi, le dimensioni, sono lecite e, nel caso del progetto in questione, potenzialmente interessanti, per l’intrinseca contraddizione tra lo spazio abitabile inteso come casa e come valore di scambio. “Home Stage”, casa palcoscenico, appunto: vari performer estoni vivranno a turno all’interno dell’appartamento per un mese.
«Il padiglione estone prende vita in una durational performance, in cui le ordinarie mansioni domestiche e le discussioni, sia sceneggiate che non, hanno luogo sotto gli occhi del pubblico», afferma Mari Möldre, del team curatoriale. «L’attrice Paula Veidenbauma, che parteciperà al progetto, è curiosa di esplorare come temi legati all’invisibilità, come la cura, l’aggressività e la solitudine, interagiscano con l’ampia visibilità del settore immobiliare, che soprattutto a Venezia è guidato dall’iper-turismo e dalla gentrificazione». Casa o immobile? Sogni o realtà? Inquilini o proprietari? Residenti o ospiti? E via così, il dualismo a partire dall’unità abitativa può essere declinato in decine, centinaia di termini diversi, tutti estremamente attuali.
Ogni performance, della durata di 1 ora e 30 minuti, si svolgerà nell’arco della giornata nelle diverse stanze dell’appartamento. Alcune situazioni coinvolgeranno i visitatori, altre li spingeranno a godersi il riposo e gli ambienti domestici. I performer che ogni mese si alterneranno nell’appartamento accoglieranno il pubblico dalla mattina al pomeriggio.