Chi ha architetture per intendere intenda

La Farnsworth House di Mies van der Rohe viene venduta il 12 dicembre 2003 da Sotheby’s a New York.
Consegnata nel 1951 al dottor Farnsworth, questa felice intuizione progettuale, collocata sulle rive del Fox River a Plano, a est di Chicago, ha fatto compiere un enorme balzo in avanti alla ricerca architettonica. Paradigma di leggerezza strutturale, capace di contribuire allo sviluppo della cultura progettuale più di tante parole e di mille esempi, la Farnsworth House dona una visione reale di quell’elemento che ancora oggi si fa fatica a spiegare: lo spazio.
Pensiamo a come potrebbe diventare se venisse ridefinita quale meta (magari spostandola in un altro sito come il Padiglione di Barcellona del ’29) o “sosta architettonica” inserita in un circuito mondiale di una promenade architecturale… Ogni studente potrebbe vederla, osservarla, contemplarla per assorbirne la confluenza energetica di cui è intrisa.
È insensato destituire la Farnsworth House dalla sua pregnante lezione progettuale. Essa nello stesso tempo è l’evoluzione cristallizzata di un luogo, un’opera aperta che didatticamente può convalidare nuovi percorsi e inoltrare nello studio dello spazio progettato.
L’auspicio è che qualche fondazione illuminata in qualche parte del mondo si renda filantropicamente conto del valore storico, culturale e sociale di questo capolavoro dell’architettura.
La scelta di aROOTS, rivista francese digitale di architettura, di farla diventare un sito virtuale è condivisibile nella misura in cui rappresenti un ulteriore modo di comunicare questa pagina di architettura e non se ne penalizzi la possibilità di leggerla dal vivo come un libro aperto. Se dovesse rimanere l’immagine virtuale e non l’oggetto reale che è contenitore e contenuto dello spazio inteso come relazione, allora c’è ancora tanto da lavorare per non vivere tristi e povere “simulazioni di annunciate assenze”.

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paolo marzano

[exibart]