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Come le tecnologie potrebbero cambiare il concetto di spazio e città
Architettura
Gli ambienti virtuali 3D sono stati sviluppati dagli anni Ottanta nei campi del gaming e dell’architettura; successivamente hanno abbracciato i settori della museografia e del mercato immobiliare. La loro massificazione, specie in architettura, ha ridotto le preziose diversità stilistiche che storicamente hanno caratterizzato le produzioni dei creativi pre-digitali. Si è imposta di conseguenza un’uniformità estetica delle rappresentazioni grafiche dettate dallo stile proposto dalle principali aziende produttrici di software. Il fenomeno rischia di ripetersi nuovamente con le tecnologie AI. Si veda ad esempio il caso di Midjourney, anche se con l’ultima versione 5 il laboratorio di ricerca punta decisamente verso risultati più fotorealistici.
Riguardo al metaverso, il lavoro di edificazione si dimostra immane. Molte società stanno investendo miliardi di dollari per creare “gemelli virtuali” quanto più fedeli alla realtà fisica, una modalità utile funzionalmente per svolgere analisi predittive oltre che attenuare gli effetti di obsolescenza estetica a cui anche la computer graphics è sottoposta. Il metaverso è un concetto ancora troppo astratto, non in grado di imitare perfettamente il visibile. Gli manca tuttora la giusta potenza di calcolo per avere una buona fluidità operativa, sebbene faccia uso di tecnologie in gran parte già in commercio (come i visori Oculus). L’uso dei visori è problematico per via del fastidioso senso di nausea e di vertigine che procurano ad alcuni utenti. L’azienda Meta ha acquisito già nel 2016 Zurich Eye, uno spin-off del politecnico ETH di Zurigo, che sta tentando di eliminare proprio i disturbi dovuti al disorientamento sensoriale. Ora Meta, dopo forti perdite milionarie in borsa, ha compreso che la diffusione del metaverso rimarrà per il momento un obiettivo strategico di lungo periodo, e vira nel futuro più prossimo verso l’intelligenza artificiale.
L’AI e il metaverso s’impongono anche nel campo dell’istruzione a distanza. L’università di Stanford ha lanciato i primi corsi universitari interamente sviluppati in VR tramite il progetto Virtual People, uno spazio popolato da alcune centinaia di studenti agenti in remoto. Come ha riportato il giornalista Adam Hadazy su Stanford News, i corsi attirano studenti di svariate discipline (dall’economia alla biologia, dalla letteratura comparata all’arte). A Napoli, la Federico II lavora all’Hybrid Learning Spaces che contiene aule virtuali frequentabili sia in remoto che in presenza, mentre il Virtual Reality Lab di Unitelma Sapienza esplora la possibilità di fare webinar in VR per abbattere le distanze fisiche.
I servizi a distanza (e-commerce, home banking) da un ventennio stanno portando alla dismissione di vaste zone immobiliari nei centri urbani. Il telelavoro sta facendo lo stesso nei grandi distretti direzionali americani del terziario avanzato (come riportano recenti servizi del Financial Times e NYT), dove molti piani di grattacieli adibiti a uffici prima del lockdown ora sono oggetto di difficili progetti di riconversione in abitazioni, o perfino di demolizione, a causa della loro vasta superficie.
E proprio le distanze fisiche nel periodo pandemico hanno accelerato la ricerca sull’apprendimento in remoto, in cui anche l’intelligenza artificiale si è introdotta. Secondo la prima indagine sull’istruzione condotta da GoStudent, solo il 18% della popolazione scolastica europea utilizza l’AI durante le lezioni, un trend tuttavia in veloce salita. È facilmente ipotizzabile che anche l’istruzione terziaria a distanza possa provocare una contrazione spaziale e svuotare in parte le strutture dei grandi centri universitari. Con l’abbassamento dei contagi gli studenti sono ritornati negli atenei. La decisione in Italia di sospendere la dad è maturata sotto la convergenza di vari fenomeni: dall’abbassamento dei contagi da Covid alla diminuzione delle capacità di apprendimento della popolazione scolastica più giovane, fino alle pressioni delle lobby immobiliari e commerciali fortemente interessate al rientro degli studenti. Su tale argomento si arrivano a toccare anche ragioni più profonde, di natura biopolitica: come ha osservato Angela Biscardi, docente di Antropologia moderna alla Statale di Milano, risulta difficile per gli atenei abbandonare una tradizionale disposizione spaziale della didattica. La biopolitica richiede ancora un controllo totale dei corpi verificabile con la presenza fisica. “Le asimmetrie di potere” tra docenti e studenti, afferma Biscardi, con la didattica a distanza sono sottoposte a nuove sollecitazioni.