Qual è il rapporto tra l’architettura contemporanea e la pornografia?
L’etimo di pornografia si ricollega al greco antico a πόρνη (pòrne) = prostituta + γραφή, (graphè) = disegno, scritto, documento. Scrivere o documentare finanche rappresentare prostitute περνημι (pèrnemi) significa vendere, vendersi, in senso lato, prostituirsi.
Oggi per pornografia intendiamo le varie rappresentazioni, video tanto quanto immagini statiche, in cui il contenuto è meramente sessuale /genitale e indirizzato espressamente all’eccitazione dei fruitori.
Poi dobbiamo distinguere tra la prostituzione, la pornografia e l’erotismo. Quest’ultimo il cui obiettivo è andare oltre la pornografia e con i contenuti artistici giungere alla scena erotica come espressione d’arte.
Questo preambolo per far notare che attualmente quasi tutta l’architettura “prodotta” oggi – esclusa forse l’architettura informale – può, a seconda dei vari punti di vista, essere assimilata al mondo della pornografia, dell’erotismo quando non alla prostituzione.
Non tanto, o solo, per una questione filosofica, psicologica o formale, quanto per un significato sotteso alla base del “fare architettura”.
Molti dei significati primordiali dell’architettura attualmente sono scomparsi. Nessun architetto oggi, almeno a leggere molte riviste specializzate, pubblicazioni e libri, guarda al rapporto tra l’architettura e il corpo. Il farsi corpo da parte dell’architettura. Una lettura del genere l’abbiamo potuta vedere nel periodo gotico, e prima ancora nella croce latina delle chiese cristiane – il farsi croce e corpo. E scorrendo, velocemente una storia dell’architettura a Ledoux e il suo Oikema, padiglione con pianta fallica destinato a un matrimonio più libero, alla trattatistica che può ricondursi in ultima istanza all’esempio di Francois Blondel o in termini più recenti, l’utero infinito della madre fattosi Endless House con Friedrich Kiesler.
Ma oggi corpo, architettura e passione – e una lettura ad essa legata – sembrano essersi slegati per cadere nell’universo solitario dell’immaginario. Dell’immagine simbolo. O meglio dell’immagine tutto stimolo e eccitazione. Porno.
Non pretendo, anzi non intendo in poche battute fare un morale agli architetti – ci mancherebbe – affermando che tutti gli architetti sono poco erotici, molto pornografi quando non esplicitamente delle prostitute, anche se in fondo in fondo può essere una idea non così distante dalla quotidiana realtà, fosse solo per poco energetiche battaglie contro frasi tranchant del tipo “io ti pago per cui fai quello che voglio”. Piuttosto intendo scrivere perché sfogliare, scrollare quando eventualmente studiare la via dell’architettura contemporanea (qui e oggi) ci renda spesso depressi.
L’architettura mainstream infatti non viene più svelata con il corpo della sua sintassi, il che richiede un po’ di approfondimento e preparazione in chi vi si accosta, o con genesi progettuali, piante, prospetti, sezioni e rapporti con l’intorno, ma sempre più attraverso semplici schemini prima, e immagini poi, che posso definire semplicemente oscene. Oscene in quanto proibite. Proibite per gli oggetti che mostrano, per i più inarrivabili e inaccessibili. Immagini sessuali. Atte esclusivamente ad eccitare i lettori o i fruitori senza grandi spiegazioni. In tal senso possiamo provare ad affermare che molte delle architetture proposte oggi siano semplicemente pornografiche. Ancor più che erotiche. Architetture “messe in scena” e scollegate dalla loro corporeità tanto quanto dalla loro matericità. Viventi attraverso la messa in mostra delle loro esteriorità pelli e/o vesti – più che delle strutture profonde. Immagini che paiono virare la disciplina verso una perdita di tridimensionalità e di profondità. A favore di immagini a bassa risoluzione e piccolo formato. Da qui il ritorno alla ricercatezza dell’immagine in sé, più che dell’immagine come rappresentazione del progetto. Immagini come eccitazione in cui l’architettura è solo un tramite. Non il fine. Quindi il profluvio di collage, montaggi, fotomontaggi, che sembrano più ammiccare al guardone che è in noi, piuttosto che mostrare il progetto dell’architetto.
L’architettura è pornografica perché è fatta di eccessiva bidimensionalità. Nonostante tutte le accortezze grafiche. È pornografica per l’eccesso di decoro che stiamo ritrovando, per l’immagine – piatta seppur elaborata – come emblema. Sembra perso il contatto tra la progettazione dello spazio e la sua immersività. Un prisma in cui l’architettura e l’architetto si riflettono per vedere quanto si è bravi ad eccitare l’occhio di chi guarda, piuttosto che addentrarsi all’interno della volumetria che – a differenza della sola pelle – può anche fagocitare e per questo è difficile da controllare, capire, conoscere.
Nelle scuole di architettura, oggi, i progetti nascono dai “concept”. Da narrazioni. Non da approfonditi studi sull’architettura di per sé. Sulla possibilità che l’architettura ha di essere generatrice di sé stessa. La ricerca del primo Peter Eisenman per intenderci. Oggi si insegna a narrare – spesso anche storie improbabili – prima ancora che a immaginare lo spazio, misurarlo, farlo proprio e poi comporlo attraverso regole.
Narrare. Anche qui, un’idea pornografica, per eccitare e trovare appagamento nell’invenzione di personaggi/forme più che dallo studio di esse e del contesto in cui si trovano e si troveranno. Narrazione si da rendere accessibile ai più l’altrimenti difficile atto di creazione dello spazio. Questo perché spesso – i futuri architetti, tanto quanto quelli che architetti lo sono già, dovranno “vendere” il proprio lavoro e il proprio progetto. Marketing? O pornografia con un po’ di prostituzione?
Siamo così lontani dalla fisicità lasciva della perfetta architettura corporea – corredata di perfezione spaziale – delle donne immortalate nelle Polaroid di Carlo Mollino nel suo studiolo (Polaroids, Damiani Editore) o dal coraggio dei disegni che nel 1524 Marcantonio Raimondi (1480 ca.-1534), il più importante incisore italiano del Rinascimento, ricavò da sedici disegni lascivi di Giulio Romano. Incisioni note come I Modi (De omnibus Veneris Schematibus).
O, venendo all’oggi, alla cifra stilistica di Nigel Coates l’architetto e designer inglese più di tutti intento a giocare con l’erotismo e una sottile idea pornografica, in maniera del tutto cosciente e voluta e che di questo gioco ha fatto la sua teoria stilistica mixata tra arte, design, studio urbano e trattatistica.
Perchè oggi la “pornografia” dell’architetto, quando non dell’architettura stessa, non sta nella costruzione di una architettura ammiccante a esplicite forme antropomorfe, ma è insita nel soddisfare i desideri dei clienti, una frase spesso scritta nei siti di molti studi e nel vendere il proprio lavoro con una narrazione, nel mostrare il lavoro grazie allo specchio riflesso del fotografo con immagini generanti desiderio proprie del mondo della moda e della pubblicità più che del reportage, quando non attraverso immagini spesso troppo rappresentative in sé o manipolatorie della futura realtà . Rappresentazioni da ammirare, e desiderare quasi a distogliere l’attenzione dallo spazio che cercano di rappresentare. Oggi immagini che fissano la realtà tridimensionale del qui e ora anche sporcate dal tempo, vedi l’immagine evocativa del Cimitero di Modena di Aldo Rossi che sorge dalla nebbia e dalla neve nello scatto di Ghirri, con tutta probabilità, non sarebbero proposte nel proprio servizio fotografico da “sparare” su internet o nelle – sopravvissute – riviste di architettura.
Semplicemente perché l’immagine pubblicitaria, spumeggiante di desiderio consumistico, colma di bidimensionalità ma fredda nella sua sovraesposizione, sembra aver sostituito la rappresentazione visiva figlia di un processo di sintesi dell’interpretazione dello spazio, che poteva caratterizzare l’International Style di Julius Shulman, gli interni di Giò Colombo negli scatti di Carla De Benedetti, il bianco e nero del Le Corbusier di Lucien Hervé.
L’architettura o meglio l’architetto che la genera oggi appare – o forse vuole apparire – più un lussurioso che gode solamente in un suo onanismo bidimensionale, pur nel trionfo odierno del la spazialità del video, più che un attento ricercatore del senso architettonico nella funzione tridimensionale.
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