È possibile raccontare l’Ucraina, oggi, senza mai citare la guerra che ancora la attanaglia? È una di quelle domande che mi e ci si pone in vista della 18ma Biennale Internazionale di Architettura a Venezia. L’Ucraina, in questa nuova edizione della kermesse a tema architettura in Laguna, ha due opere in entrambe le sedi storiche della Biennale: in Arsenale, alla Sala d’armi, un padiglione, mentre ai Giardini, allo spazio Esedra, un’installazione.
Ci muoviamo un po’ tutti sotto l’acqua, in attesa di poter ascoltare e vedere questi due interventi curati da Iryna Miroshnykova, Oleksii Petrov e Borys Filonenko, con la premessa che l’Ucraina non partecipava alla Biennale di Architettura dal 2014 e con un titolo che sulla carta può aiutarci preventivamente a capire dove, come ma sopratutto di cosa, vogliono parlare le due installazioni dal titolo: Before the future. Ci sono grandi domande e grandi aspettative su questa partecipazione, tra gli addetti ai lavori presenti.
In Arsenale al primo piano della Sala d’armi quando si entra dalle scale al piano terra, ci accoglie un ambiente buio che ricrea l’atmosfera da bunker o comunque da luogo non tradizionalmente chiamato come safe house, per citare i colleghi sul fronte. Un grande banner racconta l’importanza del dialogo e del confronto anche in una situazione di guerra come quella che stanno vivendo gli ucraini, in spazi non convenzionali, non sicuri al 100%. Il buio, il silenzio angosciante mettono tutto in prospettiva, fanno vivere un esperienza da fronte di guerra, sembra in una qualche maniera di essere lì.
Ai Giardini la luce post pioggia aiuta a guardare meglio la seconda installazione ucraina che di fatto è un immensa trincea con tanto di percorso con meno claustrofobia della trincea vera e con tanto di verde a decorare le ampie sezioni di muro. Per chi avesse dimestichezza con i luoghi di guerra o con la vecchia leva militare (come chi scrive), vi ritroverete e ne sarete anche spaesati tanto è l’impatto visivo. Anche in questo caso, l’esperienza viene ripagata in toto. Vi consiglio caldamente di vivere entrambe le installazioni in maniera totale: prendetevi il tempo necessario per assorbirne i contesti, l’ambiente, la luce, le sensazioni in generale, solo così potrete capirne l’essenza.
Lo scopo di questo dialogo con i visitatori e gli addetti ai lavori è per citare i curatori:
«Nel raccontare storie abbiamo l’opportunità di capirci gli uni con gli altri e quindi di condividere visioni diverse di un futuro mutevole. Oltre quattrocento giorni di guerra ci hanno dimostrato che non si possono raccontare storie senza difesa. Oggi la resistenza ucraina offre, con le sue intrinseche complicazioni, nuovi e diversi concetti di futuro, le cui forme sono disegnate dalle azioni quotidiane di tutti i soggetti coinvolti. Questa visione si basa sulla cooperazione tra auto-organizzazione, contributo personale e costruzione dello Stato. Questo futuro, per cui vale la pena combattere, è aperto alla sincera collaborazione di oggi».
Così facendo l’Ucraina riafferma la sua fede nel potere della cultura di unire le nazioni e ispirare un cambiamento positivo, presentando due progetti alla Biennale di Architettura che portano il visitatore a pensare ad ampio raggio. Per ritornare alla domanda iniziale: è possibile raccontare l’Ucraina oggi senza mai citare la guerra che ancora la attanaglia?
La risposta è assolutamente no. Proprio perché un evento così devastante ed unico nel suo genere se pensiamo alla storia recente dell’Europa, non può e non deve essere messo a tacere in nessuna forma di espressione.
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