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“I am a museum”: in ricordo dell’inesauribile Italo Rota
Architettura
Quando un amico, e autore importante, improvvisamente scompare si moltiplicano inevitabilmente i commenti, i testi della prima ora, le reazioni addolorate a caldo e il profluvio di immagini da social in cui sembra necessario fare a gara con la morte e la prossimità di chi ci ha lasciato. Quando un autore e un amico come Italo Rota ci lascia è pressoché impossibile scrivere, perché bisognerebbe lasciare il tempo alla memoria temperata e alla costruzione di un archivio di immagini e di pensieri che portino alla comprensione piena e lucida di quello che ha scritto, disegnato e pensato un autore così ricco e complesso.
Italo Rota appartiene alla genia di architetti che sfuggono per definizione a ogni casella stilistica e concettuale, come lui in Italia, forse, Carlo Mollino e pochissimi altri. Questo non vuol dire che non fosse contemporaneo, anzi, ma il suo modo di impersonificare il tempo che abitava era dettato da una curiosità vorace e impertinente che sfuggiva a ogni classificazione e che serbava dentro di sé il seme dell’intuizione di un tempo ancora a venire. Molti dei suoi progetti e delle ossessioni da raccoglitore seriale che lo hanno accompagnato lungo la sua vita sono infatti premonizioni di una condizione e di fenomeni che in seguito sarebbero esplosi, diventando poi una moda che Rota aveva nel frattempo assimilato e ampiamente superato. Questa condizione consegna l’autore a un senso di solitudine propria dei preveggenti che necessita la vicinanza di persone altrettanto anomale e coraggiose come sono stati molti dei committenti di Rota e la fondamentale presenza di Margherita Palli, compagna di una vita e silenziosa partner in crime delle avventure più estreme abitate dall’architetto milanese. Quando nessuno le riconosceva Italo Rota acquistava memorabilia e tute da astronauta nell’URSS che si stava sgretolando, ma anche riviste, libri e manifesti costruttivisti, magazine e materiali radical inglesi, giapponesi, italiani e austriaci, prodotti delle avanguardia storiche (tutte), oltre che una infinità di libri e materiali grafici da tutto quello che ha nutrito un’idea eretica e complessa di modernità nel mondo lungo tutto il 900’, fino ad arrivare alle centinaia di sorprese da ovetti Kinder e altre meraviglie da mini wunderkammer contemporanea.
La divorante tensione all’accumulo lo portava ad ascoltare e ammirare la rovina potente del secolo appena passato con gli occhi innamorati del Piccolo Principe e la sua casa si popolava per flussi alternati di questi oggetti, dei libri curati con competenza e amore, delle riviste e dei poster più inattesi provenienti da ogni possibile forma di avanguardia e controcultura che arricchiva l’immagine di un secolo tutt’altro che conforme e superiore a tutte le narrazioni fatte fino a questo momento. Un anno fa, circa, una piccola mostra di alcuni materiali tra i più preziosi della collezione di Italo Rota era stata esposta al Museo dell’ADI con la cura affettuosa di Aldo Colonetti e la vista lungo quei tavoli dimostrava immediatamente della nostra ignoranza di fronte a un tempo ricchissimo, contraddittorio e potente nel costruire, divorare e rinascere immaginari multipli che ci rappresentano. In queste raccolte c’era tutto Italo Rota, nelle selezioni spiazzanti e nelle occasioni di dialoghi possibili che potevano nascere dal confronto con queste materie vive, nella capacità di affiancare forme, immagini e suggestioni pronte a essere cannibalizzate e rilanciate nel mondo con misure e spazi completamente originali, ma figlie un percorso costruito su solide basi.
Italo Rota nascondeva con la sua esuberanza da Peter Pan una competenza e una conoscenza importante, sedimentata sullo studio silenzioso e il dialogo costante con decine di persone figlie di mondi e discipline differenti. Ogni volta il confronto con lui si muoveva sul filo sottile e tagliente del paradossale e del verosimile; le verità, le conoscenze e le realtà si mescolavano nelle conversazioni, producevano figure e progetti perché si proiettavano spesso in un poter fare che era premessa per ogni discorso. Non c’era mai gratuità nell’incontro con Rota, ma una forma di leggerezza pesantissima che chiedeva un suo ordine interiore, una gerarchia pronta a essere subito tradita, una disciplina che smentiva le maschere che provocatoriamente vestiva per tenere chiunque al di fuori della propria comfort zone e chiedere il massimo della qualità e della originalità di pensiero agli astanti.
Il mondo intellettuale di Italo Rota, la sua formazione è l’immagine di una spugna che si è nutrita del mondo e di ogni occasione di confronto, dal Politecnico di Milano a Franco Albini, passando rapidamente per Vittorio Gregotti, la Lotus di Pierluigi Nicolin, la Parigi della Gare d’Orsay con Gae Aulenti, ma anche dieci anni di permanenza francese con alcuni allestimenti originalissimi, quindi Milano, molta Milano, con le Triennali, l’Expo, i lavori per la moda e Cavalli, l’assessorato di stampo surrealista sotto la giunta Formentini (ogni volta sorrido all’idea), le mostre e gli allestimenti, l’insegnamento e il lavoro con Naba, fino all’ultimo, secco ed elegante, quello in Triennale per l’Arte Italiana Contemporanea e, chiaramente, il Museo del Novecento con la messa in scena compressa di una serie di capolavori che partivano provocatoriamente dal Terzo Stato di Pelizza da Volpedo, piazzato vicino al mezzanino delle Metropolitana perché chiunque vedesse ed poi, magari, entrasse nell’Arengario.
Ma non basta questo percorso, così tradizionale, per raccontare il suo percorso e unicità senza l’India (e i due templi Hindu che ha realizzato), il Giappone, la televisione spazzatura, le collezioni di libri e manifesti e grafiche, la relazione con l’arte contemporanea e una conoscenza sottile delle arti (tutte), Margherita Palli e il teatro, gli incontri che lo hanno nutrito, la cucina e l’attrazione fatale per la tecnologia, il corpo, l’Eros e la pornografia, partendo dall’amore smisurato per la fantascienza dal Seicento a oggi, fino alla seduzione per ogni nuova macchina, software e invenzione. In questo c’era un gusto tipico da uomo del 900’, affascinato dalla modernità salvifica, dalla magia della macchina come supporter e antagonista all’uomo, dall’invenzione come elemento capace di generare nuove opportunità per l’umanità di migliorare e trovare occasioni per generare nuovi mondi.
Costruire nuovi mondi era il gioco sottile di Italo Rota, ma non come inutile tabula rasa del mondo, bensì come rimescolamento e nutrimento dagli archivi infiniti che il nostro universo ci offre continuamente. Gli archivi del mondo sono la manna che costruisce il futuro radioso che abbiamo davanti a noi e la scienza è l’alleato fedele del creatore, l’architetto, che si muove nel mondo ed è chiamato a produrre nuove dimensioni. Per questo nell’ultimo decennio l’opera più importante e impegnativa di Italo Rota è stato il lavoro con il Comune di Reggio Emilia e il suo incredibile museo Civico, che il progettista milanese ha pazientemente rivoluzionato trasformandolo in una gigantesca wunderkammer contemporanea, felice, spiazzante, coloratissima, dove ogni pezzo ha preso un posto nuovo in una narrazione inquieta che è la vera testimonianza intellettuale di Rota.
Un fluire di memorie e coscienza che ha generato un progetto completamente contemporaneo. Un luogo in cui sentirsi sempre fuori bolla, perché lo spiazzamento genera meraviglia e nuove domande e nuovi progetti. Oltre al progetto completata da poco, Rota ha pubblicato due libri, “I am a museum” (nulla di più paradigmatico per raccontarlo) e “Solo diventare Natura ci salverà”, gli ultimi due grandi sforzi intellettuali e creativi, che consiglio di cercare e leggere, perché il lavoro di questo autore inquieto e necessario continui a germogliare dentro di noi in futuro. In fondo Italo credeva nel karma e sarà interessante vedere quante differenti traiettorie e rinascite conoscerà tutto il lavoro e pensiero che generosamente e voracemente ci ha offerto.