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Il progetto del Padiglione Brasile alla Biennale di Architettura raccontato dai curatori
Architettura
di Emma Drocco
Terra, presenta un’esplorazione su come il passato può informare il futuro, concentrandosi sul ruolo della terra nel plasmare la nostra comprensione del patrimonio e dell’identità. I curatori Gabriela de Matos e Paulo Tavares ci raccontano la genesi del progetto, il dialogo che si crea con le tematiche della Biennale di Architettura 2023, il legame con il visitatore e non solo.
In che modo la curatela del vostro padiglione si relaziona con i temi di Lesley Lokko in relazione alla 18. Mostra Internazionale di Architettura?
La nostra proposta per la Biennale è stata profondamente ispirata dai temi di Lesley Lokko, enfatizzando la diaspora africana come elemento chiave per dare forma al Laboratorio del Futuro. Abbiamo esaminato questa idea attraverso la lente del Brasile, una nazione con una storia sfaccettata che dispiega ricche narrazioni sulla decolonizzazione, l’identità nazionale, la diaspora, i sistemi di conoscenza indigeni e il modernismo.
Qual è l’intento del padiglione e come sono stati scelti gli artisti?
Il nostro padiglione riflette sul Brasile come terra: terra come suolo, fertilizzante, terreno e territorio. Ma anche la terra nel suo senso più globale e cosmico, come pianeta e casa comune di tutta la vita, umana e non umana. Infine, la terra come memoria, che contiene lezioni dal passato che possono informare il nostro presente e il nostro futuro di fronte alle più pressanti questioni urbane, territoriali e ambientali contemporanee. Abbiamo scelto artisti come Juliana Vicente e Ayrson Heráclito, che potessero affrontare i temi centrali del nostro Padiglione, ovvero “terra” e “territorio”. Tuttavia, è essenziale chiarire che la nostra esposizione non è strettamente limitata a singoli artisti. La maggior parte delle opere esposte nel Padiglione sono, infatti, il risultato di siti del patrimonio indigeno e quilombola, prodotti collettivi di intere comunità. Questi prodotti riflettono l’uso sociale dello spazio, coltivato da questi collettivi e tramandato per generazioni come conoscenza e tecnologia. Per questo motivo, il Padiglione non segue strettamente il formato tradizionale di una mostra di architettura o di arte. Abbiamo invece scelto di esporre pratiche spaziali, forme di design e alcune caratteristiche architettoniche che racchiudono la saggezza collettiva e le tradizioni delle comunità indigene e quilombola. Crediamo che queste pratiche rimangano straordinariamente contemporanee, in quanto indicano un percorso verso un futuro più sostenibile ed egualitario.
Quale rapporto intendete creare con i visitatori?
Vogliamo coltivare un ambiente introspettivo per i visitatori, incoraggiandoli a contemplare il loro legame con l’ambiente . L’intero padiglione è pieno di terra e invitiamo i visitatori a calpestarla e a sentirsi in contatto non solo con il suolo, ma anche con un luogo, in quanto abitanti di un comune pianeta Terra. Allo stesso modo, speriamo che i visitatori se ne vadano con una percezione rinnovata del Brasile, che riconosca il suo paesaggio, la sua architettura e il suo patrimonio intricato, vario e pluralistico.
Gli spazi espositivi attraversano un Brasile contemporaneo, uno antico e uno futuro: come si intersecano questi elementi?
Il nostro obiettivo è capire come queste temporalità possano informarsi a vicenda e come possano essere utilizzate per immaginare e creare futuri potenziali. In questo contesto, abbiamo unito alcuni elementi delle tipiche abitazioni brasiliane, in contrasto con caratteristiche più moderniste, come le recinzioni con il simbolo sankofa. Questo simbolo, che fa riferimento a un sistema di scrittura africano chiamato Adinkra, realizzato dal popolo Akan dell’Africa occidentale, è presente nella maggior parte delle città brasiliane. Significa “guardare alla conoscenza dei nostri antenati per costruire un futuro migliore”. La mostra sottolinea l’importanza di imparare dal “vecchio” Brasile, richiamando l’attenzione sulle pratiche e le conoscenze delle comunità indigene e afro-brasiliane. È scientificamente provato che le loro terre sono i territori meglio conservati del Brasile. Le loro pratiche, tecnologie e usanze sono ancora profondamente radicate nella terra e portano con sé conoscenze ancestrali che dobbiamo sfruttare per ridisegnare il presente e il futuro.