Alla Triennale di Milano è in corso fino al 23 aprile 2023 la mostra dedicata ad Angelo Mangiarotti (Milano, 1921-2012), dal titolo Quando le strutture prendono forma, curata da Fulvio Irace. Lo scopo è rendere omaggio all’opera del grande architetto, design e scultore milanese, morto nel 2012, esponendo una selezione delle sue opere, oltre a progetti e documenti, parecchi dei quali inediti. E con il contributo della Fondazione che porta il suo nome e un allestimento di ampio respiro, curato da Ottavio di Blasi & Partners, l’obiettivo è stato raggiunto in pieno.
Milano glielo doveva ad Angelo Mangiarotti che ha lavorato molto per la città, come testimonia anche un filmato proiettato in una sala attigua, intitolato Un Angelo su Milano: Mangiarotti e la città, nel quale vengono illustrati i numerosi lavori da lui realizzati che hanno caratterizzato il moderno skyline della metropoli milanese. Pensiamo ai progetti residenziali, agli edifici industriali, agli uffici, e ancora alle stazioni metropolitane e ferroviarie, dove è evidente la sua ricerca nell’alveo del continuo riferimento, come dice lo stesso Irace, «all’archetipo della trave e del pilastro».
La mostra si divide in tre sezioni: architettura, scultura e design, ognuna curata da critici esperti, ma l’allestimento volutamente non pone distinzioni tra le diverse discipline, offrendo, anche attraverso una serie di piattaforme su cui sono esposti gli oggetti più iconici, una visione di insieme che rispecchia l’idea stessa di continuità dei temi su cui ha esercitato le sue doti creative. In sessant’anni di attività, infatti, Angelo Mangiarotti è stato un protagonista di assoluto livello internazionale, urbanista e progettista di infrastrutture, riconosciuto per la sue sperimentazioni spesso ardite, che mettevano in gioco tecnologie produttive e composizione architettonica. Fu anche un grande designer con il gusto di riuscire ad armonizzare la forma dell’oggetto che studiava al suo concreto utilizzo, tenendo sempre conto in questa operazione delle caratteristiche del materiale di cui era costituito. Qualche esempio: l’orologio Secticon, la sedia 59, la lampada Lesbo, con la “sorella” Saffo, in vetro soffiato, la sedia Tre 3, la libreria modulare Cavalletti o il tavolo Quattrotto, il lampadario Giogali (1967), una delle opere più memorabili dell’artista.
È stato anche un originale scultore Angelo Mangiarotti – come afferma Luciano Caramel – attento alle «relazioni dinamiche, nella tensione tra energia, materia e spazio, interno ed esterno, pieno e vuoto». Ne sono un esempio due grandi sculture monolitiche alte più di tre metri. Risalgono alla metà degli anni ’80 e in pratica sono due totem ricavati da parallelepipedi di legno massiccio colorato. L’effetto è dato dai diversi tagli e dalle concavità che creano superfici capaci di svelare l’incredibile varietà dei disegni che si possono ottenere da questo materiale. Mangiarotti ha anche insegnato – Renzo Piano è stato suo allievo – iniziando dall’Istituto Superiore di Disegno Industriale di Venezia, e via via proseguendo con altri incarichi di insegnamento presso numerose istituzioni. Nel 1987 ha pubblicato un libro intitolato In nome dell’architettura.
L’idea di Mangiarotti era quella che l’architettura fosse una disciplina pratica al servizio degli esseri umani e del loro ambiente e che il design industriale fosse l’espressione di un artigianato raffinato, sempre però alla ricerca di una forma sobria ed elementare, valida indipendentemente dalla scala nella quale la si realizza (ci sono disegni di progetti per maniglie e vasi che diventano poi idee per edifici), dalla funzione che le si attribuisce e dal materiale con cui è costituita. Se questa è la regola che sta alla base ideale del suo lavoro, si comprende anche perché le sue opere siano presto riconoscibili e apprezzate, legate come sono a un linguaggio che, pur nella continua ricerca sperimentale, cerca di arrivare al fruitore in modo diretto, utilizzando forme e mezzi, come l’assemblaggio e la modularità, di immediata comprensione per chiunque. La mostra è accompagnata da un catalogo, a cura di Fulvio Irace ed edito da Electa (in italiano e in inglese), con una serie di interventi di critici ed esperti.
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