La mostra Architetture a regola d’arte, al museo MAXXI di Roma, mette in luce l’approccio interdisciplinare tra architettura ed arte, architetti ed artisti, attraverso il lavoro di quattro studi di architettura il cui lavoro è entrato di recente negli archivi della collezione del Maxxi: lo studio BBPR, Costantino Dardi, Vincenzo Monaco e Amedeo Luccichenti, e Luigi Moretti. Curata da Luca Galofaro con Pippo Ciorra, Laura Felci e Elena Tinacci, la mostra si divide in quattro sezioni, suddivise per studi e relazioni tra arte ed architettura. Dagli allestimenti museali, come nel caso di BBPR per il museo Sforzesco a Milano, all’essere collezionisti dello studio Monaco e Luccichenti, dallo spazio per l’arte e l’arte dello spazio di Constantino Dardi, fino agli studi d’arte di Luigi Moretti. Autori diversi, accomunati dalla profonda relazione che architettura e arte intrattengono nel loro lavoro. L’esposizione è un percorso urbano, articolato in una sequenza quattro stanze, ognuna dedicata ad uno studio di architettura, dove vengono esposte le opere di alcuni tra gli artisti più significativi con cui gli architetti hanno collaborato, tra cui Saul Steinberg, Costantino Nivola, Daniel Buren, Giuseppe Capogrossi, Pietro Consagra, Antonio Corpora, Nino Franchina, Giulio Paolini, Gino Severini, Giuseppe Uncini. Nell’attraversamento dal limite tra una stanza e l’altra, si passa in uno spazio intermedio, un passaggio intimo nel quale prende forma un piccolo wunderkammer che guidano alla lettura dei progetti esposti negli spazi maggiori.
Ad aprire la mostra è una riproduzione della Pietà Rondanini di Michelangelo, che introduce allo spazio d’arte dei BBPR, dei progettisti Gianluigi Banfi, Lodovico Barbiano di Belgiojoso, Enrico Peressutti, Ernesto Nathan Rogers. La prima sezione è la ricostruzione della macchina espositiva per il progetto di restauro e musealizzazione del Castello Sforzesco a Milano, protagonista delle pagine più importanti della storia della museografia italiana del secondo dopoguerra. Opere, allestimento, restauro sono gli strumenti per la nuova nozione di museo contemporaneo come spazio di narrazione e educazione alla storia. Lo spazio d’arte diviene percorso di dialogo con gli artisti, che trova esito nei progetti come Il labirinto dei ragazzi per la Triennale di Milano, dal dialogo tra le opere Alexander Calder, Saul Steinberg, come nel negozio Olivetti a New York pensato con Costantino Nivola fino al progetto per il memoriale di Auschwitz.
Segue la sala dedicata all’architetto Constantino Dardi. L’installazione è, per Costantino Dardi, arte della configurazione, <<operazione estetica ed esito artistico non perseguiti come messa in forma del mondo, suo ridisegno o progettazione stilistica, ma come definizione delle relazioni tra la cosa e il mondo>>, scrive Dardi. Nella grande sala sporge un traliccio, bianco e assoluto, misurato e delicato, che, come tessitura spaziale, configura l’esposizione delle opere di allestimento quali Roma Capitale 1870 – 1922 ai Mercati Traianei, il Padiglione Italia per l’Esposizione Universale di Osaka e le immagini della celebre mostra di Achille Bonito Oliva Avanguardia Transavanguardia’68-77 allestita sulle Mura Aureliane. Il tutto in dialogo con la scultura di Uncini al centro della sala, ed i Solidi Platonici di studio, riferimenti progettuali della pittura rinascimentale, da Piero della Francesca a Paolo Uccello, per attivare un processo di definizione concettuale dello spazio attraverso la costruzione geometrica dell’immagine.
Nella stanza dedicata allo studio fondato da Vincenzo Monaco e Amedeo Luccichenti il campo d’azione è quello residenziale privato. Gli architetti romani, insieme ad artisti quali Giuseppe Capogrossi, Nino Franchina, Gino Severini e Antonio Corpora, trasformano lo spazio in un dispositivo dove arte ed architettura si fondono. <<Pittura, scultura ed architettura sono, alla fine, maniere diverse di manifestarsi della medesima energia inventiva, una stessa possibilità teorica può inverarsi come architettura pittura, come scultura e come architettura>>, scrive Giuseppe Capogrossi nel testo Un pittore giudica l’architettura. Dai comignoli della palazzina Minciaroni come vere e proprie sculture di Nino Franchina, la pavimentazione della terrazza del Villino Federici disegnata da Antonio Corpora, fino ai grandi arazzi per il progetto delle Turbonavi, Monaco e Luccichenti individuano una pratica progettuale nuova, nella quale lo spazio architettonico coinvolge il dialogo personale tra gli autori.
L’esposizione si conclude con Luigi Moretti, legato all’arte in maniera intrinseca, continua e produttiva. L’arte è da una parte il motore formale della sua architettura e dall’altra il suo substrato teorico. Si tratta di un percorso editoriale che parte dal rapporto di Luigi Moretti con la storia come chiave per scoprire il presente, e che si ritrova in varie forme nei suoi progetti realizzati, come il Parcheggio sotterraneo a villa Borghese, le cui immagini esposte ricordano la mostra Contemporanea allestita nel 1973 da Piero Sartogo. I suoi strumenti di ricerca sono la rivista Spazio, sette numeri pubblicati tra il 1950 e il 1953, e l’omonima Galleria, in cui instaura un rapporto intimo tra arte ed architettura attraverso le ricerche su Giotto, Borromini e Michelangelo. Di Michelangelo scrive, ne Le strutture ideali nell’architettura di Michelangelo e dei barocchi, di come l’architettura raccolga più densamente di ogni altra arte, in una continuità di due alternative: densità ed incantamento. Incipit ed explicit dell’esposizione Architetture a regola d’arte, la figura dell’architetto artista di Michelangelo stabilisce in via definitiva che l’architettura è arte e l’arte è architettura.
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