“L’intrattenimento è una delle industrie in maggior crescita nel pianeta: invece di beneficiare l’umanità, ha distrutto molto di quanto conserviamo di più caro. È ora di usare l’immaginazione e la creatività per limitare la corrosione dell’intrattenimento”. (P. Davey)
Un grido di allarme l’editoriale del direttore che, con argomentazione non allineata, un po’ sulla traccia della Choay, scoperchia la pentola del degradante mondo dell’architettura per lo svago, richiamando alla necessità di buon senso. Un argomento scottante che si confronta con l’egoismo recondito di tutti noi viziati consumisti.
Non sempre evidente rimane però il legame fra l’argomento posto ed i servizi illustrati, se non nell’evidente volontà di presentare edilizia linguisticamente cosciente dei doveri decorativi e connotativi dell’architettura.
Pregevoli in particolare la scala semi-ipogea di La Pena e Torres a Toledo, il semplicemente”espressivo” centro sportivo di Marciano a Marsiglia, il quasi “storicizzato” canopo per l’ippodromo nel Sussex di Hopkins.
Piatto forte il Museo di Arte Popolare a New York delle stelle nascenti Williams e Tsien.
Ma per noi italiani assume particolare interesse il servizio sulla fabbrica Armani di Tadao Ando a Milano. Questo l’incipit del servizio: “Milano si sta riconvertendo in quello che deve essere stata nei secoli precedenti l’unità d’Italia, una città stato di benessere privato e squallore pubblico” (M. Webb).
Marco Felici
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“Milano si sta riconvertendo in quello che deve essere stata nei secoli precedenti l’unità d’Italia, una città stato di benessere privato e squallore pubblico” ... io so' de Roma ... ma se fossi stato milanese 'sta frase ...