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Next stop ”Next” Diario della Biennale #3 Di susanna tradati
Architettura
Dalla mia finestra sull’Arsenale, aspettando la Biennale di Architettura di Venezia 2002. Grande festa de Jet-Set internazionale dell’Architettura venerdì sera 6 Settembre, in concomitanza con l’apertura ufficiale dell’Ottava edizione della Biennale 2002…
Io naturalmente ero lì, confusa nella folla di artisti e architetti provenienti da tutto il mondo, estasiata nel vederli sfilare uno dopo l’altro nella cornice così suggestiva e unica dell’incantevole spazio all’aperto che circonda gli spazi dell’Arsenale.
Siamo così alla terza ed ultima tappa del mio viaggio attraverso il dietro le quinte della Biennale 2002-Next, inaugurata al pubblico domenica scorsa, proprio in concomitanza con la chiusura della 59esima mostra del Cinema , altro importantissimo e fascinosissimo appuntamento internazionale in acque veneziane.
Purtroppo la velocità dell’immenso cantiere di allestimento mi ha assorbito completamente in questi giorni, e quello che si preannunciava come un intenso vortice di suoni, forme e colori ha mantenuto le sue aspettative, travolgendo tutti noi addetti ai lavori!
Dopo le due intense giornate dedicate al vernissage, con protagonisti i singoli Padiglioni nazionali che inauguravano l’apertura dei rispettivi spazi espositivi al pubblico, e, a seguire, i numerosi party più o meno esclusivi per festeggiare il grande lavoro appena terminato, un po’ di ritrovata tranquillità è quel che ci vuole per ragionare e commentare i risultati raggiunti.
Di queste giornate scandite dal tempo interiore dei preparativi per la Biennale mi rimarranno soprattutto impressi l’entusiasmo di chi vi ha lavorato e il grande impegno e sforzo per non deludere chi, passeggiando negli incantevoli spazi che fanno da cornice all’esposizione, sarà alla ricerca di stimoli e suggestioni dell’architettura che verrà, preparandoci a un futuro che questi progetti confermano essere già iniziato.
Considerando quello che è già stato detto a due giorni dall’inaugurazione ufficiale, l’aspetto che più ha colpito di questa Biennale è la concretezza e semplicità con la quale risultano illustrati i progetti ritenuti come più significativi dei prossimi anni. In effetti nella parte dell’Arsenale in cui si snoda la passeggiata espositiva più ricca dell’intero allestimento della Biennale, attraverso plastici, disegni e componenti costruttive è possibile immaginare e prefigurare scenari futuri, legati alle principali firme dell’Architettura internazionale.
Quello che forse si fatica a percepire è il modo in cui le grandi e futuristiche architetture esibite si relazioneranno ai paesaggi costruiti, alle intricate e difficili trame di relazioni tra le realtà esistenti, al delicato equilibrio con il territorio e le risorse disponibili. Insomma quello che si rappresenta come “next” alla fine potrà veramente rappresentare una soluzione alle esigenze e alla complessità del vivere contemporaneo?
Non mi sembra che questa Biennale risponda né tanto meno si ponga seriamente una domanda nei termini appena espressi. D’accordo, non necessariamente si deve porre la questione per esaltare un’etica generale, ma almeno, nell’articolazione funzionale dell’allestimento, sarebbe stato interessante cogliere, tra le diverse opere in mostra, risposte più articolate ai diversi temi rappresentati; rischiando un po’ di più, ma evitando almeno la sensazione per il visitatori di trovarsi come intrappolati tra le pagine di riviste patinate dai colori forti. Oppure, anche immaginando che gli organizzatori abbiano agito con volontà differenti, troppo difficile forse si è presentata l’opportunità di una rappresentazione più realistica del futuro che si potrebbe e dovrebbe costruire.
Per questo motivo allora preferisco gli allestimenti, anche modesti a volte, dei singoli padiglioni appartenenti alle diverse realtà nazionali. Qui infatti, tra progetti e scenografie più o meno semplici, si percepisce se non altro la volontà di partire dalla comprensione del presente per costruire le sfide future, siano esse rappresentate da interventi di piccola scala piuttosto che dalla ricostruzione di palazzi ed identità nazionali.Attraverso la rappresentazione del costruito, o il disegno di quello che sarà, o ancora mediante vuoti che parlano ed esprimono disagi -ma anche speranze e comunque sempre la voglia e l’impegno ad esserci- in quello che significa Next, i vincitori sono proprio loro.
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