Categorie: Architettura

Occupy Biennale

di - 19 Aprile 2012

Pochi giorni fa, anzi esattamente una settimana fa, mentre navigo su FB vengo colpito da un post che Luca Diffuse, giovane architetto romano conosciuto anche dal mondo di Exibart, lancia come un sasso in uno stagno che fino a quel momento era immobile.

Era una nota sentimentale, semplice e sensibile, forse anche un po’ indignata, sul fatto che, a quattro mesi dalla vernice della Biennale di Architettura di Venezia, il Mibac non abbia ancora nominato un curatore per il Padiglione Italiano, che conseguentemente manchi un progetto e, nota ancora più amara, che tutta la questione era stata sottolineata, fino a quel momento, solamente da due articoli. Due.

Una situazione che vedeva il sempre più probabile rischio di lasciare il Padiglione Italiano deserto. Probabilmente, per molti, il modo migliore di rappresentare lo stato dell’architettura del Belpaese ad oggi, ma per altri un vuoto, una zona grigia in cui riuscire ad inserire idee e progetti nuovi.

Il post di Luca ha così acquisito la valenza di un interruttore. Che ha spostato da off ad on la questione Padiglione Italiano. Da quel momento su Facebook hanno cominciato a giungere post su post. Centinaia di post. Centinaia di persone, architetti e non, conosciuti e sconosciuti, giovani e meno giovani. Tutti decisi a voler dare un contributo all’idea progettuale che Luca aveva lanciato – forse non credendoci troppo nemmeno lui su quale sarebbe stata la reazione – per il Padiglione.

A questo punto il passo è stato quasi obbligatorio e un “gruppo ristretto” ha pensato bene di provare ad organizzare questo immane flusso creativo – in diretta dalla rete – cercando di “dargli un verso” per meglio strutturare un progetto di curatela – iper collettivo – da presentare al Ministero.

Un’azione dinamica – come dinamico è chi è presente nello spirito del tempo di oggi – fatta per infilarsi in quel vuoto che ho precedentemente descritto e allo stesso tempo, prendere l’iniziativa con un agile dribbling che nemmeno Leo Messi. Un’azione che sta “disegnando”, o forse designando, un progetto innovativo e indipendente per il Padiglione Italiano, non fosse altro per il sistema creativo che intende generarlo.

Un progetto che – paradossalmente a quanto successo nel calendario architettonico degli ultimi anni vissuti da Archistar post post moderniste ed iper mediaticizzate- punta a mettere al centro dell’attenzione i margini del “fare architettura”. Quelli che spesso e volentieri – forse perché poco illuminati – sfuggono agli osservatori, alle riviste e perché no ai critici meno attenti, ma che di solito sono le aree del campo da cui nascono e crescono le future azioni critiche e progettuali.

Il progetto non ha ancora un nome ben specifico, è qualcosa che si sta plasmando via via in questi giorni, in queste ore, cambia secondo dopo secondo o meglio post dopo post, l’ultimo titolo in ordine di tempo è Inèdite -in italiano- ma non si sa ancora. Magari diverrà Inedito. Magari rimarrà “Un progetto indipendente per il Padiglione Italiano”. E nonostante questo possa fare apparire la cosa come confusionaria e poco organizzata, niente di tutto ciò è più lontano dalla realtà. Il progetto, nella visione dei partecipanti a questo brainstorming o network italico, on line e non solo, è estremamente limpido ancorché cangiante. E più che essere io a spiegarvelo in poche battute, voglio essere chiaro, è meglio se chi deciderà di leggere queste poche note clicchi direttamente sul link www.normale.net il blog che velocemente è stato imbastito per, direbbe il Professor Brown di “Ritorno al Futuro”, canalizzare il flusso che forse sta creando – con una forte nota di sensibilità per il nostro Paese – un nuovo progetto per il Padiglione Italiano alla Biennale di Architettura di Venezia.

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