In rilucenti caratteri d’acciaio a rilievo i nomi dei magistrati uccisi dalla mafia negli ultimi trent’anni scorrono qui sui gradoni in marmo di Billiemi della Piazza della Memoria di Palermo,: sono la testimonianza di un tempo non troppo lontano, in cui lo Stato, assente, distratto e colluso, perdeva gli uomini migliori delle sue istituzioni, fatalmente destinate -sembrava allora, come oggi ancora, purtroppo- ad una rovinosa sconfitta.
Alla memoria dell’impegno dei martiri della mafia è dedicata significativamente la piazza che fa da cerniera fra il vecchio ed il nuovo Palazzo di Giustizia di Palermo, inaugurato lo scorso 8 maggio, ma già parzialmente attivo dal 2002. In una città che ha voluto dimenticare in fretta, e dove le parole mafia e antimafia sono ritornate ad essere un tabù, appare straordinario questo segno, doveroso, di civiltà che lega le lunghe e travagliate vicende costruttive dell’edificio e la caparbia testardaggine di Iano Monaco, progettista e direttore dei lavori, ad una coraggiosa idea di intervento sul centro storico: si dovevano fare i conti con la difficile identità di un edificio che si voleva finalmente sottratto ad ogni retorica di genere e idealmente, anche, ai veleni che per lungo tempo ne hanno segnato la storia più nera.
Ad una precisa volontà di trasparenza e accessibilità sono state improntate dunque le scelte progettuali della nuova cittadella giudiziaria a ridosso del degrado senza posa dello storico quartiere del Capo di Palermo: un’intricata maglia urbana di vicoli e casupole con cui gli edifici progettati da Monaco entrano in dialogo, proponendo una teoria di vuoti e pieni in cui i volumi dei corpi rispettano le fughe del tracciato antico e si qualificano come loro naturale prosecuzione nella città nuova.
Le rigide impenetrabili geometrie delle facciate su Piazza della Memoria fanno così il paio agli importanti volumi del vecchio Palazzone , ma rispetto all’algido, monumentale nitore al travertino di quello, la nota calda dei nuovi edifici immette in questo dialogo un elemento di animazione e raccordo con la memoria cromatica della città: rosso e nero, terra e mare, gradazioni in trasparenza che scorrono dal blu scuro all’azzurrino, secondo il variare della luce nelle ore del giorno.
È la luce infatti la vera unica protagonista del complesso: nella grande galleria, nei bagliori riflessi dalle complesse strutture in acciaio, nei tanti corridoi e passaggi sospesi fra un edificio e l’altro, nelle ampie finestre a oblò, già al pianterreno e fino ai piani più alti, in continue sollecitazioni verso uno spazio esterno da vivere ed esplorare.
Attraverso un concorso internazionale sono state acquisiste ed installate, all’interno della cittadella, alcune opere di arte contemporanea, progettate a partire dai rigidi parametri di riferimento fissati dallo stesso progettista: gli artisti erano “obbligati” ad un confronto diretto con la specificità degli spazi su cui intervenire.
Sette i lotti messi a concorso per cinque gruppi di scultura (Antonio Musarra Tubi, Giovanna De Sanctis Ricciardone, Henrig Bedrossian, Rossella Leone, Davide Di Fiore), un mosaico (Cossyro) ed un’opera pittorica (Ignazio Gadaleta in due pannelli).
L’inaugurazione della nuova cittadella è stata anche occasione per un convegno sul ruolo dell’architettura e dell’arte contemporanea nei processi di riqualificazione dei centri storici delle città e per presentare il libro edito da Sellerio sull’edificio e le opere d’arte in esso contenute, con saggi critici di Francesco Cellini, Nicola Giuliano Leone ed Eva di Stefano, oltre che dello stesso progettista. Corredano il volume le spettacolari fotografie di Pino dell’Aquila e Sandro Scalia.
davide lacagnina
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