Raccontare Paolo Portoghesi, architetto romano, forse uno degli autori più complessi e contraddittori del secondo dopo-guerra italiano e internazionale, è come attraversare una casa composta da troppe stanze perché se ne possa tenere una memoria precisa, ma capaci di lasciarti addosso la sensazione di avere abitato un luogo speciale, che continuerà a lavorare nella tua memoria. Progettista dal talento feroce, spiazzante, a volte eccessivo e strabordante, capace di usare forma, materia e geometria con la stessa grazia spietata degli architetti antichi che erano colti e, insieme, muratori.
Mettiamo in fila negli anni sessanta casa Baldi e casa Papanice, dove Scola girò il mitico film “Dramma della gelosia” con una inarrivabile Monica Vitti, poi la “Strada Novissima” della Biennale di Venezia del 1980, in cui avviò il Post-Modernismo trasformandolo in un magnifico monumento di carta-pesta che ancora abbiamo negli occhi, poi la prima moschea realizzata in Italia, a Roma, all’ombra del Vaticano, erano gli anni Novanta e poi seguirono un’altra mosche a Strasburgo, il palazzo reale di Amman in Giordania e una lunga serie di chiese ed edifici pubblici in cui non sempre il maestro romano riusciva a tenere la giusta misura sbandando vistosamente, ma sempre regalandoci paradossi su cui varrebbe la pena riflettere e da studiare.
Poi gli studi su Borromini, Bernini e il Barocco romano quando ogni curva era vista con sospetto dai modernisti. Riviste, saggi e ricerche che compongono un corpus importante, segnato da una scrittura libera, colta e felice. Che dire dalla direzione della prima Biennale di Architettura e della Presidenza alla Biennale veneziana tra gli anni Ottanta e Novanta, oltre al lavoro per l’Accademia dei Lincei e la presidenza dell’Accademia di San Luca? Un architetto che era anche uomo del suo tempo grazie a un’incredibile autorevolezza intellettuale e alla relazione diretta con il partito Socialista e la stagione craxiana. Uomo di grande eleganza e fascino, spregiudicato e insieme colto nei suoi gesti anche più paradossali, politico nel mondo dell’accademia e della cultura e, forse per questo, detestato quanto adorato, divisivo e insieme curioso e generoso verso le generazioni che seguivano la sua parabola.
Ecologista prima degli ecologisti. Barocco prima dei barocchi. Postmoderno prima dei postmoderni. Questo il destino e la parabola di Paolo Portoghesi, che continueremo a guardare con maggiore curiosità e attenzione man mano che tanti, inutili, steccati ideologici cadranno.
Grazie Paolo e buon viaggio.
PS. consiglio a tutti un viaggio a Calcata, casa-studio dell’architetto romano che spero possa diventare fondazione nel cuore della Tuscia, mentre il suo archivio riposa, ben protetto, al MAXXI.
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