«Non c’è la sicurezza che, una volta entrati in Italia, i richiedenti vorranno lasciare il Paese entro il limite di tempo previsto». Questa la motivazione fornita dall’Ambasciata italiana ad Accra riguardo alla richiesta di visto, respinta, dei collaboratori e membri dello staff di Lesley Lokko, che avrebbero dovuto raggiungere Venezia durante i giorni di preview della manifestazione. Il rifiuto, inoltre, sarebbe stato causato da un’assenza dei requisiti richiesti dalle normative. La notizia, trapelata già nei giorni scorsi su alcune testate, è stata ribadita dalla direttrice della 18ma Mostra Internazionale di Architettura durante la conferenza stampa di presentazione, che si apre con il dolore di un grande paradosso. «Una storia vecchia, che chi viene dal Sud del mondo conosce fin troppo bene», ha commentato Lesly Lokko durante l’incontro con i giornalisti. La Biennale di Architettura 2023, dal titolo “The Laboratory of the Future” (dal 20 maggio al 26 novembre 2023), ribadisce quindi la necessità di aprire nuovi canali di dialogo e farlo attraverso le istituzioni culturali, rappresentando un punto di partenza per riflettere su urgenze contemporanee e problematiche geopolitiche, sociali, umane e umanitarie, da punti di vista autoriali e inediti.
«Non vogliamo tuttavia che l’accaduto oscuri l’importanza di questa apertura», hanno commentato gli organizzatori, trovando nuove motivazioni per dare il via alla Biennale, «è dal momento in cui le cose vanno male che cominciamo a lavorare, che gli artisti iniziano a esprimersi. È così che si curano le civiltà», nelle parole di Lokko. Si aprono quindi i battenti della Biennale più nera di sempre, capace di far sedere per la prima volta in modo massiccio l’Africa al tavolo di lavoro, offrendo un eccezionale panorama di architetti e progettisti non ancora sufficientemente conosciuti nel mondo occidentale.
Decolonizzazione e decarbonizzazione sono le parole chiave che guidano la mostra centrale e che sono state di ispirazione anche nella proposta dei padiglioni nazionali, proiettando l’architettura in un contesto naturalmente politico. Le parole, in “The Laboratory of the Future”, diventano fondanti, tanto da essere interrogate e ribaltate nella propria definizione. Per la prima volta, infatti, Lesley Lokko sostituisce gli architetti con i “pratictioners”, traslando la definizione di una professione convenzionale a un termine che implica maggiore apertura di sguardo e contaminazione tra le diverse discipline, invitando a un’azione consapevole, che sparga i semi del cambiamento. E, anche su questo aspetto, le prime critiche non hanno tardato ad arrivare. «Non sembra essere una mostra di architettura», si è sentita obiettare la direttrice, che ha risposto: «Non sono d’accordo, tale affermazione conferma il fatto che è giunto il momento di cambiare la nostra percezione dell’architettura».
Poesia, arte, installazione, video, performance: fin dal primo sguardo, la 18ma Mostra Internazionale dimostra un cambio di paradigma che apre il mondo dell’architettura a una ricchezza di tematiche più ampia, tra cui spazio, memoria, archivi, tradizioni, storia dei luoghi, abitabilità, convivenza di comunità diverse, corpi, rigenerazione, esperienze di empowerment sociale. Lo si vede all’ingresso dell’Arsenale, dove la curatrice invita il visitatore a riflettere sulla “Blue hour”, l’attimo che precede il sorgere del sole o segue il tramonto, in cui i colori si fanno più vividi e suggestivi. Ma anche nella sala delle colonne, in cui la pianta circolare fa da supporto alla rappresentazione di una ciclicità lunare.
E, ancora, in quella successiva, in cui un grande video verticale accoglie il pubblico con le parole dell’artista Rhael “LionHeart” Cape il quale, bendato come un moderno Tiresia, offre un “invito poetico all’azione”, uno spazio di empatia e comprensione che diventa manifesto di una biennale dell’evoluzione consapevole. Exibart ve lo racconterà nei prossimi giorni, attraverso contenuti specifici, report tematici e fotografici di specialisti del settore.
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