Categorie: Architettura

Rapporto su Matera, Capitale della cultura. 40 anni dopo

di - 12 Agosto 2019

Nel 1971, il Comune di Matera commissionò al gruppo di progettazione “Il politecnico”, coordinato da Aldo Musacchio e composto da Mario Cresci, Luciana Fabris, Silvia Musacchio, Ferruccio Orioli, Nedda Piantini, Pancrazio Toscano, uno studio di carattere socio-economico intitolato Una città meridionale fra sviluppo e sottosviluppo. Rapporto su Matera. In occasione di Matera Capitale della Cultura 2019, ne abbiamo parlato con uno dei protagonisti, l’architetto urbanista Ferruccio Orioli, veneziano d’origine e napoletano di adozione, tornato nella città dei Sassi per presentare la personale “Sulle sponde di questo mare”, visitabile fino all’11 settembre, a cura di Giancarlo Ferulano.

Facciamo un passo indietro e torniamo a Matera, nel 1971, quando la giunta comunale, con lungimiranza, commissionò a un gruppo di urbanisti, coordinato dal sociologo Aldo Musacchio, un report approfondito sulle ipotesi di sviluppo della città. In un clima fortemente ideologico quale fu la stagione degli anni Settanta in Italia, come si poneva il gruppo Il Politecnico, di cui hai fatto parte, rispetto all’impianto urbanistico della città lucana e, in breve, quali furono gli esiti dello studio?

«Il Rapporto su Matera è stato, che io sappia, la prima analisi approfondita condotta su una città di piccole dimensioni del Mezzogiorno. Allora Matera aveva poco più di 40.000 abitanti. Come è noto la storia della città e della civitas è segnata dai cospicui trasferimenti degli abitanti dei Sassi. Fino agli anni ’70 Matera è stata l’unica città a Sud di Napoli ad avere un piano regolatore, redatto negli anni ’50 da Piccinato. Sulla base del piano fu attuato il trasferimento degli abitanti dei sassi ai nuovi quartieri che provocò una rottura con il passato e un relativo passaggio dalla sussistenza dell’autoconsumo agricolo al salario dell’operaio edile.

Successivamente, negli anni ‘60, con la scoperta del metano in val Basento da una parte, esperienza del tessile chimico ormai conclusa, e, negli anni ’80 e ‘90 con la creazione del “distretto del divano”, verso la Puglia, ancorché si sia allargata l’area di salariati inseriti nella produzione industriale, non mi sembra si sia formato un ceto operaio, quanto piuttosto un ceto di percettori di reddito fisso.

L’impianto dello studio metteva in luce come lo sviluppo urbanistico fosse intimamente legato alle trasformazioni sociali dovute inizialmente al trasferimento di risorse da parte dello Stato, creando un ceto burocratico legato alle istituzioni che doveva gestire l’investimento di queste risorse, e successivamente alla creazione di posti di lavoro nell’industria: chimica di stato (ANIC – ENI) e industrializzazione della produzione di divani. Quest’ultima si è sviluppata dopo lo studio.

Gli esiti dello studio sotto il profilo urbanistico proponevano di massimizzare il costruito all’interno del perimetro già edificato per ridurre i costi sociali del prevedibile insediamento di nuovi abitanti. Lo studio è dell’inizio degli anni ‘70. Oggi la popolazione ha raggiunto i 60mila abitanti senza che dopo la variante successiva al nostro studio si sia messo mano a un nuovo strumento di pianificazione. E purtroppo i risultati si vedono: non ho studiato a fondo la situazione ma ho la sensazione che si siano formate delle periferie che prima non esistevano».

Nel corso della ricerca, Matera aveva già mostrato il suo potenziale in quanto attrattore turistico? Avresti mai immaginato che potesse ospitare, un giorno, una iniziativa di rilievo internazionale come Matera capitale della cultura 2019?

«Dagli anni ’50, cioè successivamente alla questione Sassi, Matera ha accentrato il meglio della cultura, anche Internazionale, in materia di sociologia, urbanistica, architettura, agraria, sanitaria, sviluppando una elaborazione culturale fortemente identitaria, di matrice sia cattolica sia azionaria – olivettiana – socialista. Questa elaborazione ha messo al centro delle sue iniziative la città e il suo patrimonio monumentale, gli stessi Sassi, le chiese rupestri, le masserie fortificate e altro. Prima il concorso sulla riutilizzazione dei Sassi, poi l’inserimento degli stessi nel patrimonio Unesco, sono fattori che, credo, abbiano posto le premesse per arrivare all’iniziativa 2019.

Tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio dei ‘70 il turismo, inteso come comparto economico di una qualche rilevanza, non esisteva a Matera, se non quello di specialisti che ciclicamente arrivavano in città per studiare il “caso Matera”. Credo sia un fenomeno recente, iniziato non più di una decina di anni fa, già di una certa consistenza prima del 2014, anno della nomina della città a Capitale europea della cultura. Con la nomina sono scattate anche le trasformazioni usuali, ormai prevedibili, legate al turismo di breve durata: B&B, ristorantini, compreso quello cinese, pizzerie, commercio di cianfrusaglie».

Oggi sei tornato a Matera, non in veste di architetto urbanista ma in quanto artista. Con che progetto hai scelto di inserirti nella vasta programmazione di Matera capitale della cultura 2019?

«Ho proposto a un amico, magna pars dello storico circolo culturale “La Scaletta”, la mia mostra a Matera quando, per ovvie necessità di programmazione degli eventi, ho immaginato che sarebbe stato impossibile inserirmi nelle attività prodotte dalla Fondazione Matera-Basilicata 2019. Con un certo imbarazzo mi sono presentato con un’altra veste cinquant’anni dopo.

Devo dire, a inaugurazione avvenuta, che l’impatto del mio lavoro è stato positivo in quanto propone, sia pure attraverso delle immagini, una riflessione politica con la quale fare i conti. Che di questi tempi non è poco. Probabilmente ci sarà anche un seguito con la produzione di un quaderno dedicato agli studenti delle scuole superiori».

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