Categorie: Architettura

San Renzo Piano

di - 26 Settembre 2020

Oltre a Padre Pio (di cui tra l’altro ha realizzato il santuario) abbiamo assistito nell’ultimo anno alla santificazione del senatore Renzo Piano in rapporto alla vicenda del ponte di Genova crollato drammaticamente il 14 agosto 2018 e da poco ricostruito.

Mi rendo contro di essere in uno sparuto numero di persone che si oppongono a questa santificazione e mi prendo il rischio dell’eresia. La accetto, anche se mal volentieri perché ho sempre avuto interesse per la sua opera. Ho scritto la prefazione alla sua monografia nella raccolta “Gli architetti”, Marsilio editore, che curavo dopo la morte di Bruno Zevi e ho dedicato ampio spazio in “Architettura e Modernità” editore Carocci, per il suo contributo a una architettura e a una una città plurifunzionale.

Mi sarei aspettato dall’architetto Piano una posizione di equidistanza e di saggezza all’indomani del crollo. Una posizione che avesse sostenuto per esempio una petizione per una analisi costi-benefici (prevista dal nostro ordinamento per opere di questa rilevanza) tra ipotesi diverse visto che il crollo della sola pila 9 e degli impalcati connessi non aveva minimamente danneggiato il resto di un viadotto di ben un chilometro di lunghezza e del complesso sistema di rampe verso levante. In altri casi naturalmente non si era proceduto affatto con l’abbattimento dell’intero viadotto: a Maracaibo, in Venezuela quando negli anni sessanta del Novecento una petroliera ne danneggiò una pila, non si abbatté certo l’intero viadotto, ma si sostituì solo la parte danneggiata. Il know how tecnico per la celere sostituzione e per il rafforzamento del resto della struttura è ampiamente consolidato e l’Italia è all’avanguardia sia dal punto di vista dell’ingegneria che delle tecnologie e dei materiali da adoperare.

Invece Renzo Piano non ha mai speso una sola parola a favore non dico della ricostruzione, ma neanche dell’analisi dei costi-benefici tra ricostruzione e abbattimento totale. Era una posizione che era invece del tutto lecito aspettarsi visto il suo ruolo istituzionale di Senatore a vita. Al contrario l’architetto Piano ha immediatamente cavalcato la via del ponte marcio da demolire destinando a morte un viadotto di un chilometro che vista la particolare modalità costruttiva in travi prefabbricate solamente appoggiate non aveva trasferito deformazioni dalla parte crollata a quella rimasta intatta. Immediatamente Renzo Piano, pur con qualche contrizione per il vecchio ponte, ha cavalcato la tesi dell’abbattimento integrale e del ponte marcio.

Viadotto del Polcevera, foto di Fabiano Parisi

La sua autorevolezza è massima: “Se lo dice Piano, allora certo, ha ragione”. Poco importante che su questa via si debbano sborsare centinaia e centinai di milioni per far acquisire le abitazioni sottostanti, promettendo un meraviglioso parco. Poco importa il danno ambientale mostruoso che consiste nelle decine di migliaia di tonnellate di rifiuti (anche tossici) e di nuovo la costruzione del nuovo viadotto con i soliti materiali anti-eccologici che già contribuiscono per quasi il 40 per cento al riscaldamento globale (ma non era Renzo Piano sensibilissimo a questi temi?), poco importa che si inneschino giganteschi profitti per un industria spesso criminosa (quella dei rifiuti – e il magistrato Cantone lo aveva detto quasi subito ed aveva ragione).

Cavalcata immediatamente la tesi “il ponte è marcio, abbattiamolo” da un architetto che ha vinto il Pritzker, che è il più grande architetto italiano, e che come se non bastasse è pure genovese, cosa volete mai che conti la battaglia di qualche ingegnere o professore o di una istituzione culturale come l’InArch, (Istituto nazionale architettura). Per giorni e giorni, stampa e media rispondono solo alla linea del governo e del suo ministriello. “È marcio si deve abbattere”.

Il grandissimo architetto Piano, a neanche due settimane dal crollo presenta un plastico del progetto del nuovo ponte. Uno strabuzza gli occhi. Lo presenta, credere o no, con l’amministratore delegato di Autostrade, l’ente plurimilardiario che doveva fare la manutenzione, che non ha voluto neanche inserire i sensori richiesti dai residenti al Politecnico di Milano, e che aveva previsto i lavori proprio per settembre a circa tre settimane prima del drammatico crollo. Piano e l’amministratore delegato di autostrade presentano questo plastico (e gli cade pure) e ripeto uno strabuzza gli occhi: è un qualunque viadotto autostradale come ce ne sono a migliaia, millantato da “opera” per una sezione a carena di nave (!) e per delle stele in ricordo dei 43 poveri uccisi. Una tecnica questa della stele che a noi romani ricorda i fari del ponte di Armando Brasini sul Tevere, con una retorica che pensavamo relegata ad anni remoti.

Il viadotto che sostituisce integralmente quello precedente con una pochezza di significato ed una soluzione grettamente utilitaristica passa da una mano all’altra. Non diventa più di autostrade, ma si trasforma nella proposta del Comune stesso. Si indice infatti un concorso in cui ad altre ben più interessanti, addirittura più economiche, soluzioni, si preferisce la cordata di Piano e Salini che deve vincere contro ogni logica, contro ogni estetica, contro ogni buon senso. Ecco una plastica descrizione: “Infrastrutture. Toccherà alla triade Fincantieri, Salini-Impregilo, Italferr ricostruire l’opera sul Polcevera. La scelta è caduta sul colosso, un tempo mitologico spauracchio per i pentastellati. La realizzazione costerà 202 (+19) milioni di euro contro i 175 del progetto perdente” (M. Ravarino 19.12.2018 “Il Manifesto”). Questo modo di procedere prende il nome di Modello Genova, il ponte viene battezzato come San Giorgio, ma per quanto mi riguarda lo potevano chiamare anche Renzo Piano.
Riprendo in mano brevemente questa questione, a cui ho dedicato molti interventi, perché voglio anche far sapere che è appena uscito un intero e bellissimo fascicolo dalla rivista di ingegneria “Galileo” integralmente dedicato alla vicenda del Ponte Morandi e alla grande figura del suo progettista. Direttore è Enzo Siviero, uno dei maggiori esperti di ponti e non solo in Italia. Molti articoli sono analitici e ci permettono di seguire punto per punto gli inganni, i ritardi, la malafede di molti snodi cruciali della vicenda. Potete scaricare integralmente il numero da qui. Buona lettura

Antonino Saggio è professore ordinario di Composizione architettonica e Urbana alla facoltà di Architettura di “Sapienza” Università di Roma. Cura il sito “I quaderni”

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