Se le buone ragioni per visitare Parigi non mancano, meno che mai, per gli amanti dell’arte contemporanea, il Mois de la Photo è un evento che di per sé vale lo spostamento. La ricchezza delle scelte è tale che sarà difficile mantenere in futuro il livello della presente edizione, orchestrata in sinergia con Berlino e Vienna. Nel 2006 questo circolo virtuoso si allargherà fino a includere, assieme a Bratislava e Mosca, anche Roma, e c’è da augurarsi che la circolazione degli artisti italiani aumenti di conseguenza.
Non che in quest’occasione manchino del tutto: la collezione del Museo Alinari al Papillon des Arts; Mario Giacomelli presente in due gallerie (un lavoro che i video dell’israeliana Michael Rovner sembrano inconsapevolmente riprendere, a conferma della sua attualità). E ancora un ciclo di proiezioni organizzate dal Jeu de Peume – nuova sede del Centro Nazionale della Fotografia che ha chiuso i battenti con una retrospettiva su Orlan – con film di Totò, De Sica, Fellini e, vero autore cult, Lucio Fulci (La casa vicino al cimitero).
Tuttavia l’offerta italiana resta una goccia nell’oceano internazionale delle oltre settanta attività espositive in cui prevale un’attenzione retrospettiva: le mostre più consistenti sono incentrate infatti su episodi cruciali della storia della fotografia. Da ricordare almeno quella su Etienne-Jules Marey al Musée D’Orsay che insiste non tanto sulle celebri cronofotografie quanto sulle serie, finora poco conosciute, delle volute di fumo e della dinamica dei fluidi, architetture effimere e immaginifiche studiate con attenzione da Didi-Huberman nel riuscito libro-catalogo. Da ricordare ancora – oltre alla retrospettiva sull’avventura americana di Alfred Stieglitz e di Camera Work o alle personali di Kertész e Doisneau – l’esposizione più originale della rassegna, organizzata dalla Maison européenne de la photographie (madrina di tutta la manifestazione) che ha riesumato dagli archivi delle società occulte oltre duecento scatti sui fenomeni paranormali, la loro costruzione e impressione sulla lastra fotografica.
Per la sezione contemporanea va segnalato, oltre al lavoro di Erwin Olaf, che da un paio d’anni sorprende il pubblico della FIAC, quello dei coniugi Becher. Non è inutile insistere ancora sul rigore – spesso trasmutato in noia da qualche critico – delle loro serie sulle forme metamorfiche dell’archeologia industriale, ammirate per lungo tempo solo dagli urbanisti e dagli architetti per il valore documentario. Il loro lavoro rileva in realtà dall’attitudine minimalista: l’attenzione per le tipologie, per la serialità, per l’infinita combinazione di elementi lontani nel tempo e nello spazio. Alla scuola di Düsseldorf si sono del resto formati, fra gli altri, artisti come Candida Höfer, Andreas Gursky, Thomas Struth e Thomas Ruff.
Completare infine questo panorama una serie di attività a latere: le due retrospettive – una su Hiroshi Sugimoto alla Fondation Cartier e l’altra su Gina Pane al Centre Pompidou – e il circuito delle gallerie che spazia da David Lynch a Pierre & Gilles. Un modo di bilanciare il centro di gravità fin troppo storico della manifestazione francese, di cui attendiamo con ansia la connessione italiana.
riccardo venturi
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GIÀ!
...il mese della foto però era novembre...