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Exibintervista a Luca Vitone

di - 16 Gennaio 2002

Luca Vitone è un artista con la valigia sempre pronta per nuove destinazioni. Genovese di nascita, newyorkese per recente adozione, la presenza di Vitone in mostre di ampia risonanza nazionale ed internazionale confermano l’interesse suscitato dalla sua costante ricerca aperta sullo spazio sia sociale che individuale. Accanto alle personali (tra le altre, nel 2000, il progetto Standàiu al Palazzo delle Esposizioni di Roma e Hole al P.S.1 di New York), non possono essere dimenticate prestigiose collettive come La forma del mondo/la fine del mondo al P.A.C. di Milano ed As it is all’Ikon Gallery di Birmingham, sempre nel 2000. Di fatto l’atto del conoscere e rappresentare luoghi propri ed altri attraverso mappe da studiare, distruggere e ricomporre nella prassi del ripercorrere è uno dei motivi ricorrenti nella produzione dell’artista. Più recentemente, nei mesi di Novembre e Dicembre 2001, Vitone è stato invitato da Lotta Hammer/LAB project e dalla Westlondonprojects ad intervenire in un interno londinese. Nel corso di questa intervista gli abbiamo chiesto di descriverci l’operazione e raccontarci brevemente del suo lavoro e di se’.

Guidaci attraverso il tuo nuovo intervento “I only have eyes for you” per il Lab Project di Lotta Hammer (in collaborazione con Westlondonprojects).
Quando Lotta Hammer mi ha invitato a pensare a un laboratorio per il suo progetto, ho deciso di realizzare qualcosa che desse l’opportunità a chiunque vi si volesse iscrivere di intraprendere un’esperienza intima col proprio corpo e la propria mente in rapporto allo spazio circostante. Così ho pensato di dedicare il laboratorio alla filosofia yoga come strumento di conoscenza di se stessi. Il luogo dove solitamente Lotta organizza i suoi Lab è molto piccolo, perciò grazie all’offerta di Westlondonproject, che ha anche partecipato alla produzione del lavoro, ho avuto la possibilità di ricostruire il suo spazio ridefinendolo come scultura abitabile. Un cubo rialzato da terra costruito con assi di pino grezzo che riprende le stesse dimensioni della stanza di Lotta e la ripropone in una più ampia. All’interno un arredamento molto semplice composto da una moquette azzurro cielo sul pavimento con due tappetini bianchi a forma di nuvola e un prato verde con margherite bianche sul soffitto, l’illuminazione all’interno è soffusa, prodotta da candele. Solo due persone alla volta possono entrarvi, durante il laboratorio l’iscritto e colui che lo guida all’introduzione dello yoga.

Nei tuoi progetti la distanza geografica viene spesso descritta attraverso specifici connotati sociali, caratteri e simboli che definiscono e comunicano la (e le) collettività considerate. In questo progetto sembri invece più attento ad una distanza diversa, più spirituale, più interiore, quasi metafisica. Pensi che si tratti solo di una impressione superficiale dell’osservatore, oppure stiamo verificando un tuo cambiamento di prospettive?
È vero che in alcuni miei lavori il rapporto con l’aspetto sociale è importante. Sia in quelli che ridefiniscono o si confrontano con lo strumento cartografico come rappresentazione della configurazione di un territorio. Sia quelli che si relazionano con la città come luogo dove si intrattiene l’esperienza del viver quotidiano in rapporto con la nostra memoria personale e collettiva, luogo in cui si definisce l’incontro con l’altro o paesaggio in cui noi troviamo l’elemento del pittoresco contemporaneo. Sia in quelli che vedono il cibo o la musica folk come soggetti protagonisti di quella che è la nostra primaria esperienza di conoscenza con una cultura diversa dalla nostra. È anche vero che c’è una serie di lavori legati più al mio percorso esistenziale, a degli itinerari intimi, come ho intitolato una mostra che riguardava questo aspetto alcuni anni fa. È un viaggio più personale, più intimo appunto, non per niente il progetto ha quel titolo. Identifica già il bisogno di appartarsi, di intrattenere una relazione circoscritta a due persone. La mostra è dedicata a chiunque ha bisogno di un luogo in cui ritirarsi.

Esiste qualche “luogo” in particolare che ti è rimasto più in mente e sul quale hai rimuginato più a lungo durante le tue visite a Londra?
Frequento Londra dall’eta’ pre-adolescenziale e i luoghi a cui sono affezionato sono molti. Uno per tutti la casa museo dell’architetto Sir John Soane. La prima volta che sono andato a visitare questa casa era il settembre 1987 e mi è sembrato di entrare in un sogno. E così è stato quando ci sono tornato anni dopo. Una wunderkammer che rappresenta l’esistenza di un uomo e i referenti della sua cultura. Un’immagine che forse ognuno di noi vorrebbe lasciare ai posteri per testimoniare di esserci.

Qual è la tua opinione sulla cosiddetta cultura del villaggio globale, e quale la tua reazione come individuo? Tale cultura condurrà ad un appiattimento dei caratteri locali, oppure ad una loro esasperazione? Si tratta di una ulteriore mitologia moderna oppure di una realtà tangibile e dirompente?
È una realtà a cui non si può prescindere. C’è e ci si deve convivere nei suoi aspetti positivi e negativi. Che ognuno la interpreti come meglio creda sfruttandone le proprie qualità e difendendosi da ciò che non piace, ovviamente questo è a discrezione della personalità di ogni individuo.



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www.art-online
http://www.palaexpo.com www.ps1.org
www.pac-milano.org
www.ikon-gallery.co.uk

Irene Amore
Intervista realizzata il 9 gennaio 2002

[exibart]

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