A Parigi, nel cuore del Marais, c’è una mostra che non passa inosservata. Chiunque entri nell’ambiente creato da Thomas Hirschhorn (Berna, 1957) alla Galleria Chantal Crousel esce toccato, se non intellettualmente, certamente nella sfera dell’emotività. Quanti altri avvenimenti sono capaci di smuovere le nostre corazze in questo modo? Abituati come siamo alle violenze quotidiane, alle vergogne dell’agire bestiale dell’essere umano, alla follia degli intenti omicidi, alla furia e alla sete del potere politico?
Thomas Hirschhorn descrive così la sua opera: “voglio cercare di fare un lavoro che è aperto a ciò che non è positivo. Non un lavoro negativo, ma che si confronti con ciò che non è dato, che non si deve toccare e che non è positivo. […] Voglio lavorare al limitare dell’Intoccabile. Voglio insomma poter dar Forma all’esigenza che è urgente e irresistibile: Ogni ferita è la mia ferita! Ogni morte è la mia morte. Ogni ineguaglianza è la mia ineguaglianza. Ogni ingiustizia è la mia ingiustizia. Ogni pena è la mia pena”. Sono dichiarazioni che si leggono su un foglio a disposizione del pubblico all’entrata della galleria, espressamente scritte dall’artista come guida all’esposizione. La mostra si intitola Concretion Re: la concrezione è un termine scientifico che indica un’incrostazione minerale o una formazione -organica o inorganica- sorta per sedimentazioni successive. Re è l’acronimo di Evénement et répétition nel testo-trascrizione di una conferenza di Mehdi Belhaj Kacem tenuta all’École Nationale
La Galleria Chantal Crousel è soffocata da corpi: corpi-manichini infilzati di chiodi, corpi fotografati nelle guerre sparse per il mondo, corpi dilaniati da malformazioni che sembrano enormi massi di pietra cresciuti in modo incongruo sul collo, sugli arti, in testa. Corpi-carne venduti per disperazione e ignoranza da donne e bambini, corpi-bombe scagliati contro un nemico generico, odiato perché sconosciuto, corpi-pietre trasfigurati in pezzi di minerali da malattie innominabili eppure esistenti.
Nella galleria si cammina su un percorso minato: lo spazio è una grotta di cartone e scotch. Dai muri sporgono massi di pietre incastonati come protuberanze artificiali; dal soffitto pendono filamenti di concrezioni fragili e pesanti come un pensiero ossessivo. Gli stretti corridoi, tra vetrine con manichini e immagini (fotografie, ritagli di giornali, riproduzioni delle Pitture nere di Goya), hanno angoli smussati che obbligano a mutare il passo, fino a far perdere per qualche istante l’equilibrio. Il beige appiccicoso del nastro
“Sono un non-riconciliato e un non-rassegnato perché non voglio cadere nella trappola dell’informazione”: Hirschhorn si pone il problema dei confini tra Arte e Storia, tra engagement e libertà dell’artista. Nel suo testo, a metà tra un manifesto programmatico e una chiosa alla mostra, Hirschhorn parla della ricerca della Nuova Forma, ciò che per lui identifica l’atto artistico (una sorta di ricerca della verità tramite illuminazione) dall’atto del documentare. E la capacità d’implicarsi nel presente in modo assolutamente soggettivo, senza freni inibitori o necessità di comprendere è uno degli elementi che caratterizzano, a suo avviso, il lavoro dell’artista.
Difficile giudicare freddamente questo evento. Immersi nell’universo di Hirschhorn ci sentiamo tutti gli unici responsabili del caos che ci circonda e degli inestetismi da esso provocati. Sentiamo tuttavia che il metodo dell’artista non ha nulla della “trasformazione del banale” che ha abitato gran parte del post-moderno e che ci catapulta in una dimensione estetica impegnata e artificiale al tempo stesso. Hirschhorn rappresenta la storia interpretandola, ma con una ricerca politica della verità che lo ancora all’universale. E che fa di lui un imprescindibile istigatore di riflessioni etiche ed estetiche più che mai attuali.
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Ha comprato uno stoc di manichini dismessi, vecchia produzione, a vederli vien proprio voglia di infilzarli, manipolarli, scotcharli,ingabbiarli, ecc.
questo artista è un grande.
bella recensione, fa venir voglia di visitare la mostra