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09
settembre 2008
fino al 10.IX.2008 Regine d’Egitto Monaco, Grimaldi Forum
around
Una mostra dedicata alla parte femminile nell’Antico Egitto. Curata da un’esperta del Louvre, senza cedere alla spettacolarità. E quando Hollywood viene citata, è per sottolineare cosa capita a giocare col fuoco. Il tutto, ancora per poche ore, nel Principato di Monaco...
Grazie all’influsso seduttivo dell’industria culturale che opera nella mediacrazia planetaria in cui viviamo, molti di noi conoscono l’Egitto antico attraverso lo sguardo disneyano di produttori in cerca di business. Ma la cultura è un’altra cosa e la curatrice Christiane Ziegler ci riporta felicemente alla durezza dell’oggetto, alla verità brillante e “povera” del manufatto artigianale, alla suprema, menomata bellezza delle statue e dei bassorilievi che attraversano i millenni per narrare la loro storia. Una storia salvata dall’arte, che è trasmissione di sapere altrimenti inenarrabile.
Curatrice del prestigioso Dipartimento delle antichità egizie del Louvre, Ziegler ha riunito quasi 250 capolavori giunti dai più grandi musei al mondo, escludendo felicemente mummie e sarcofaghi a favore di monili d’oro e pietre preziose, statuette in legno, alabastro, graniti, marmi e bronzi di piccole e medie dimensioni, che attestano l’abilità degli artigiani, il gusto degli artisti e le necessità politico-religiose del trono egiziano, affermatosi come “impero” con la riunione dei due regni del Basso e dell’Alto Egitto intorno al 3200 a.C..
Tutt’altro che monolitico e semplicemente esoterico, l’Egitto è stato un regno che in tre millenni di storia (la mostra va dal 3100 al 30 a.C.) ha sviluppato evoluzioni, influenze, sconvolgimenti e avvicendamenti economici e politici di grande intensità, come dimostrano i primi monili di regine perdute nel tempo, prima che i teologi teorizzassero la “teogamia” secondo cui il faraone è il semidio frutto delle nozze tra il dio Amon e una donna prescelta, una sacerdotessa; teoria che trasformerà le donne del re in regine, in donne di potere. Come il faraone, anche la sua “grande sposa reale” si distinguerà vestendo gli emblemi presi in prestito dagli dei, fornendo la corte di sempre più ricchi e studiati monili e strumenti di rappresentanza, primo esempio di design occidentale, come dimostrano un cesellato turibolo a forma di “barca solare”, che portava l’anima del faraone morto al dio Sole, oppure i primi specchi a ventaglio in argento.
L’accesso al potere da parte del gentil sesso avviene con l’adempimento dei riti a fianco del faraone. Sfruttando l’eterno fascino del femminino, la regina è messa a danzare su sacre musiche per compiacere il dio e così imbonirlo. La sposa reale diviene garante dell’equilibrio del mondo. Ciò nasce nel primo millennio del regno, quando le “divine adoratrici del dio Amon” di Tebe diventano la principale autorità religiosa e proprietarie di considerevoli ricchezze. Votate al celibato, la successione avviene per adozione, ma poi subentrano regine e principesse, che vengono addirittura divinizzate dopo la morte. È questo il caso di Ahmès Nefertari, donna di piglio consacrata all’epoca di Ramses, o di Tiy, scoperta essere la consigliera di Amenhotep III e diplomatica del regno ascoltata presso le corti straniere dell’epoca. Fino al paradosso di Hatchepsout, una delle rare sovrane con potere assoluto, che assume addirittura i titoli e l’immagine del faraone.
La conquista romana del 30 a.C. avrebbe chiuso trenta secoli di storia avvincente che sarebbe ingiusto sintetizzare nelle gesta e nelle fattezze della sola Cleopatra, in realtà di origini greche, il cui mito è sorto in seguito alle spedizioni napoleoniche, ai saccheggi, agli studi di Champollion e alle esotizzazioni letterarie di Théophile Gautier. L’egittismo di allora si è evoluto malamente e giunge a noi attraverso film blockbuster su mummie e alieni, su porte stellari e maledizioni. Di fronte a quest’industria della mistificazione e della disneyzzazione della storia, diventa un dovere civico visitare mostre come questa, dove la spettacolarità si condensa nell’armonia delle linee scultoree, nell’eccentricità dei bestiari sacri o nel rigore di una lettura astratta della realtà che confluisce negli oggetti selezionati da Ziegler.
Una spettacolarità ridotta al minimo, indispensabile e usata come valore aggiunto per ricreare, con gusto e con le tecniche della moderna arte scenografica a firma di François Payet, gli ambienti di vita delle regine d’Egitto, di quella discendenza composta da anonime matrone e vere protagoniste della storia, tutte tratte dagli harem ante litteram dove i faraoni concentravano le loro concubine e da dove eleggevano le predilette al sacro ruolo di sposa. Anche semidei come loro non poterono fare a meno di mogli intraprendenti che li sostenessero nella difficile arte della diplomazia sacra, inverando il detto che “dietro ogni grande uomo c’è una grande donna”.
È il 1963 e il genere “peplum”, o Sward and Sandal come dicono a Hollywood, è all’apogeo. Vestita da Cleopatra (un collier originale da lei vestito nel film è dentro una teca a pochi passi) Elizabeth Taylor scende dalla portantina dentro una scenografia da Oscar e con fierezza china il capo davanti al futuro imperatore Augusto. Richard Burton/Marcantonio ne è rapito. Passa un lungo istante e gli occhi unici della regina di Hollywood si stringono maliziosamente, non presaghi della tragedia futura.
Questa emblematica scena è proiettata all’inizio della mostra su una tendina di fili dorati che introducono nella seconda sala. Una concessione al cinema che stratifica le immagini e con-fonde le idee del visitatore. La ricerca del vero Egitto e delle sue vere regine si smarrisce per un istante soltanto, in modo ironico. Il film fu un colossale fiasco, costato 44 milioni di dollari, e affossò la Fox. La proiezione è un invito a lasciar fuori ogni immagine preformata delle regine d’Egitto per meglio affrontare i preziosi e autentici “resti” della loro vita quotidiana, delle loro funzioni sociali e delle raffigurazioni artistiche della più alta bellezza femminile allora in voga. Molto prima che nascesse il cinema e subentrassero le regine dello schermo.
Curatrice del prestigioso Dipartimento delle antichità egizie del Louvre, Ziegler ha riunito quasi 250 capolavori giunti dai più grandi musei al mondo, escludendo felicemente mummie e sarcofaghi a favore di monili d’oro e pietre preziose, statuette in legno, alabastro, graniti, marmi e bronzi di piccole e medie dimensioni, che attestano l’abilità degli artigiani, il gusto degli artisti e le necessità politico-religiose del trono egiziano, affermatosi come “impero” con la riunione dei due regni del Basso e dell’Alto Egitto intorno al 3200 a.C..
Tutt’altro che monolitico e semplicemente esoterico, l’Egitto è stato un regno che in tre millenni di storia (la mostra va dal 3100 al 30 a.C.) ha sviluppato evoluzioni, influenze, sconvolgimenti e avvicendamenti economici e politici di grande intensità, come dimostrano i primi monili di regine perdute nel tempo, prima che i teologi teorizzassero la “teogamia” secondo cui il faraone è il semidio frutto delle nozze tra il dio Amon e una donna prescelta, una sacerdotessa; teoria che trasformerà le donne del re in regine, in donne di potere. Come il faraone, anche la sua “grande sposa reale” si distinguerà vestendo gli emblemi presi in prestito dagli dei, fornendo la corte di sempre più ricchi e studiati monili e strumenti di rappresentanza, primo esempio di design occidentale, come dimostrano un cesellato turibolo a forma di “barca solare”, che portava l’anima del faraone morto al dio Sole, oppure i primi specchi a ventaglio in argento.
L’accesso al potere da parte del gentil sesso avviene con l’adempimento dei riti a fianco del faraone. Sfruttando l’eterno fascino del femminino, la regina è messa a danzare su sacre musiche per compiacere il dio e così imbonirlo. La sposa reale diviene garante dell’equilibrio del mondo. Ciò nasce nel primo millennio del regno, quando le “divine adoratrici del dio Amon” di Tebe diventano la principale autorità religiosa e proprietarie di considerevoli ricchezze. Votate al celibato, la successione avviene per adozione, ma poi subentrano regine e principesse, che vengono addirittura divinizzate dopo la morte. È questo il caso di Ahmès Nefertari, donna di piglio consacrata all’epoca di Ramses, o di Tiy, scoperta essere la consigliera di Amenhotep III e diplomatica del regno ascoltata presso le corti straniere dell’epoca. Fino al paradosso di Hatchepsout, una delle rare sovrane con potere assoluto, che assume addirittura i titoli e l’immagine del faraone.
La conquista romana del 30 a.C. avrebbe chiuso trenta secoli di storia avvincente che sarebbe ingiusto sintetizzare nelle gesta e nelle fattezze della sola Cleopatra, in realtà di origini greche, il cui mito è sorto in seguito alle spedizioni napoleoniche, ai saccheggi, agli studi di Champollion e alle esotizzazioni letterarie di Théophile Gautier. L’egittismo di allora si è evoluto malamente e giunge a noi attraverso film blockbuster su mummie e alieni, su porte stellari e maledizioni. Di fronte a quest’industria della mistificazione e della disneyzzazione della storia, diventa un dovere civico visitare mostre come questa, dove la spettacolarità si condensa nell’armonia delle linee scultoree, nell’eccentricità dei bestiari sacri o nel rigore di una lettura astratta della realtà che confluisce negli oggetti selezionati da Ziegler.
Una spettacolarità ridotta al minimo, indispensabile e usata come valore aggiunto per ricreare, con gusto e con le tecniche della moderna arte scenografica a firma di François Payet, gli ambienti di vita delle regine d’Egitto, di quella discendenza composta da anonime matrone e vere protagoniste della storia, tutte tratte dagli harem ante litteram dove i faraoni concentravano le loro concubine e da dove eleggevano le predilette al sacro ruolo di sposa. Anche semidei come loro non poterono fare a meno di mogli intraprendenti che li sostenessero nella difficile arte della diplomazia sacra, inverando il detto che “dietro ogni grande uomo c’è una grande donna”.
È il 1963 e il genere “peplum”, o Sward and Sandal come dicono a Hollywood, è all’apogeo. Vestita da Cleopatra (un collier originale da lei vestito nel film è dentro una teca a pochi passi) Elizabeth Taylor scende dalla portantina dentro una scenografia da Oscar e con fierezza china il capo davanti al futuro imperatore Augusto. Richard Burton/Marcantonio ne è rapito. Passa un lungo istante e gli occhi unici della regina di Hollywood si stringono maliziosamente, non presaghi della tragedia futura.
Questa emblematica scena è proiettata all’inizio della mostra su una tendina di fili dorati che introducono nella seconda sala. Una concessione al cinema che stratifica le immagini e con-fonde le idee del visitatore. La ricerca del vero Egitto e delle sue vere regine si smarrisce per un istante soltanto, in modo ironico. Il film fu un colossale fiasco, costato 44 milioni di dollari, e affossò la Fox. La proiezione è un invito a lasciar fuori ogni immagine preformata delle regine d’Egitto per meglio affrontare i preziosi e autentici “resti” della loro vita quotidiana, delle loro funzioni sociali e delle raffigurazioni artistiche della più alta bellezza femminile allora in voga. Molto prima che nascesse il cinema e subentrassero le regine dello schermo.
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mostra visitata il 4 settembre 2008
dal 12 luglio al 10 settembre
Regine d’Egitto
a cura di Christiane Ziegler
Grimaldi Forum
Monaco
10, avenue Princesse Grace – 98000 Monaco
Orario: tutti i giorni ore 10-20; giovedì e sabato ore 10-22
Ingresso: intero € 10; ridotto € 6
Catalogo Somogy, € 49
Info: tel. tel. +377 99993000; fax +377 99993001; ticket@grimaldiforum.mc; www.grimaldiforum.mc
[exibart]
E si pubblica una recensione e poche ore dalla fine della mostra?