Ignorato dai suoi contemporanei, esaltato dai simbolisti francesi, morto a soli quarant’anni, Edgar Allan Poe occupa un posto d’onore nell’olimpo delle leggende americane. Non a caso. I mostri che abitano la fantasia umana sono espressi lucidamente nei suoi racconti. Racconti che narrano della titanica lotta tra le pulsioni umane, fra intelligenza e caos, fra istinto di sopravvivenza e autodistruzione.
Affascinato sin dall’adolescenza da Poe, il curatore Harland Miller ha selezionato i dodici racconti che a suo parere si prestavano meglio a una reintepretazione contemporanea, proponendoli ad artisti nella cui vita e opera ha riconosciuto una connessione con Poe. Una mossa coraggiosa, considerato che in precedenza i suoi racconti sono stati illustrati da artisti del calibro di
Beardsley e
Doré.
Il risultato è
You Dig the Tunnel, I’ll Hide the Soil. Organizzata negli spazi di White Cube in Hoxton Square e nel labirintico seminterrato del vicino municipio di Shoreditch, la mostra raccoglie le risposte di trentaquattro artisti alla proposta di Miller, incluso lo scomparso Angus Fairhust, morto suicida a una settimana dall’inaugurazione.
La scelta del seminterrato ottocentesco per una mostra che ha come tema l’orrore non poteva essere più appropriata: il sito stesso sembra uscito dall’immaginazione di Poe.
Corridoi immersi in un buio silenzioso, pareti scrostate, porte cigolanti: tutto contribuisce a evocare l’atmosfera da incubo dei
Racconti del terrore. In uno dei molti spazi oscuri e umidi che si dipanano lungo il percorso,
The Watch di
Christian Marclay è una brillante quanto inquietante lettura di uno dei più sinistri racconti di Poe,
The Tell-Tale Heart. Un antico meccanismo posizionato in un camino diroccato, illuminato da una luce radente. Un ticchettio furioso che echeggia nel silenzio assordante dei corridoi vicini. Dire che l’effetto è terrificante è un eufemismo.
Lo stesso si può affermare per
Ode to the Industrial Revolution dei fratelli
Jake & Dino Chapman, una bianca escrescenza dall’apparenza stranamente informe che emerge dal buio dello spazio circostante. Immobile e minacciosa come un cancro cresciuto silenziosamente nelle profondità dell’edificio. A qualche corridoio di distanza, le creazioni di
Jason Shulman allentano la tensione. Un minuscolo specchio racchiuso in una deliziosa cornice gotica. Un ritratto di Poe rivelato dal calore del respiro. A fianco, ispirato al racconto
The Imp of the Perverse, sta la malinconica aura circolare di
Halo, una candela isolata che irradia una luce misteriosamente irreale.
Negli spazi di Hoxton Square, una monaca dal viso coperto da una maschera nera che non ne lascia intravedere le fattezze, il seno esposto, i piedi in una pozza di sangue, è la risposta di
Tracy Emin a
Black Cat, mentre
Damien Hirst interpreta gli incubi di Poe creando il selvaggio
The Startling Effects of Mesmerism on a Dying Man.
Non sorprende che il pezzo più commovente sia il timido quadrato nero di
Angus Fairhust,
Everything but the outline blacked-in (Prototype), appeso fra l’opera di Hirst e
The premature burial di
Harland Miller. Che, alla luce degli eventi, suona come un vero e proprio
memento mori.
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Hai ragione, non si puo' stilare un lungo elenco di lavori, ma noto, forse a torto, che alcuni artisti sono sempre e comunque presenti, anche quando i loro lavori non sono i piu' rappresentativi.
C'e' chi direbbe che e' cattivo giornalismo.
Quale censura? Hai scritto due commenti. Al limite sarebbe un contenimento della tua grafomania.
Quanto al merito: l'"autrice" ha operato alcune scelte, criticabili come tutte. Certo non sarebbe stato preferibile un elenco simil-telefonico degli artisti in mostra.
Grazie per la censura.
Evidentemente non si puo' criticare una recensione...
Se volete avere un'idea di quanto questa mostra fosse bella non vi resta altra scelta che visitarla, purtroppo.
E se vi capita andatevi a vedere la stanza con l'installazione di Kiefer (ma evidentemente non era degno di nota per l'autrice, come tanti altri del resto).
Solo una precisazione, purtroppo nella foto non si vede, ma quello al centro del quadro di hirst e' un teschietto di plastica di probabile fabbricazione cinese non due lampadine rosse al posto degli occhi.
Ho visto la mostra e trovo che sia facile criticare una recensione soprattutto quando riguarda un evento vasto e denso di artisti cosi' diversi tra loro. Per chi scrive ci sono limiti di parole ben definiti a cui bisogna adeguarsi e trovo che l'autrice abbia reso l'idea della mostra senza gli inutili giri di parole che sembrano essere parte integrante del giornalismo di arte contemporanea.