Qual è oggi il valore del classico per gli artisti internazionali delle ultime generazioni? Ha ancora senso parlare di classicità nel mondo globale? Queste domande sembrano oziose e forse inutili, ma non lo sono affatto. In realtà, l’eredità che ci hanno lasciato Greci e Romani non è un fardello che possiamo scrollarci facilmente di dosso, perché fa parte della nostra cultura in maniera inconscia e spesso inconsapevole, soprattutto se analizzata da punti di vista non diretti, ma metaforici, simbolici o antropologici. Appare quindi quanto mai opportuna la riflessione proposta da Cristiana Perrella con la mostra Who Shall Deliver Us from the Greeks and Romans?, aperta fino al 10 maggio nei suggestivi spazi della galleria Mana di Istanbul, a poche centinaia di metri dall’Istanbul Modern Museum.
“L’idea non è quella di riportare alla luce un immaginario nostalgico o di riprodurre accuratamente i suoi canoni estetici. Gli artisti invitati propongono una discontinuità col passato, attraverso ibridazioni e parodie” scrive la Perrella.
Con questo schema in mente, la curatrice ha ordinato un sistema semantico attento e puntuale, senza sbavature né facili compiacimenti, ponendo in relazione non solo artisti, ma soprattutto opere, in un dialogo serrato e teso, senza mai cadere in proposte banali o scontate.
Negli spazi di archeologia industriale della galleria, che occupa l’edificio un tempo adibito a mulino e ristrutturato con notevole gusto, la mostra si struttura su due livelli. Il primo crea un corto circuito tra la scultura di ispirazione classica e opere ispirate da una cultura visiva basata sul concetto di metamorfosi e ibridazione, attraverso l’opera dell’artista messicano Pedro Reyes intitolata Los Mutantes e composta da 170 immagini che formano un polittico dove le figure umane si trasformano in creature mostruose che strizzano l’occhio al fumetto, al cinema e alla storia dell’arte. Assai più composte appaiono le raffinate sculture di Daniel Silver, che simulano l’azione del tempo su materiali nobili come le sculture di marmo di Carrara che vengono trasformate in simulacri di forme, simili ai lavori di Medardo Rosso o Henri Moore, posizionati su basi in cemento grezzo, per rendere ancora più forte il contrasto tra high and low.
I ritratti di Caligola e sua sorella Giulia Drusilla, che piangono lacrime ricamate con frammenti di Francis Bacon e Sandro Botticelli, riassumono il rapporto nostalgico e decadente di Francesco Vezzoli con la Roma antica, nel suo ricollocare questi personaggi in una scena ideale e surreale al tempo stesso, giocando in maniera irriverente con le icone della storia dell’arte.
Concettualmente rigoroso il busto in gesso di patrizio romano di Jonathan Monk, che ha chiesto a Pier Paolo Calzolari di rompergli il naso in modo da ottenere un reperto di archeologia contemporanea capace di mettere in questione la forte autorialità della scultura antica, in un dialogo ideale con The Body Electric, il disegno di Matthew Monahan dove la figura umana appare trasformata in una sorta di macchina mostruosa, frutto di un’ipotetica fusione tra un robot e una statua greca. Al piano superiore la mostra si apre a nuove suggestioni, con Antinoo, l’opera video di Alexandra Mir e Lisa Anne Auerbach che documenta in maniera ironica e sottile la performance Marzarama, svoltasi nel 2008 presso la gipsoteca dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, quando le artiste hanno ricostruito frammenti di busti classici con il marzapane.
Questa relazione tra il reperto e la sua ricontestualizzazione è il fil rouge del dialogo tra le opere della sala, organizzata come l’ambiente di un museo archeologico. Dalla copia di un vaso greco dipinto con una scena surreale relativa al mito di Europa da Ozlem Gunyol e Mustafa Kunt alle rarefatte e realistiche immagini della serie Sanctuary scattate da Gregory Crewdson tra le rovine romane del set di Ben Hur a Cinecittà fino a Sitting on a Tell, l’opera di Asli Cavusoglu composta da calchi di oggetti archeologici frammentati, le opere sembrano quasi voler rispondere all’opera di Liam Gillick, la scritta a parete Ab usum non tollit usum. Ma i lavori più calzanti , pur su due registri semantici diversi, appaiono Dogon, la scultura di Stephen Claydon, e The Column, il video di Adrian Paci: se il primo è il prodotto di un crossover tra l’immaginario pop, l’eredità della statuaria globale (dal kouros greco agli idoli Dogon) e la vita quotidiana, l’opera di Paci propone invece una riflessione sul senso e sul valore della copia, ma anche sulle violente forzature che l’economia globale ha imposto alla manifattura e ai suoi valori tradizionali, sia culturali che economici. Una degna conclusione per una mostra sostenuta da una galleria privata, che non avrebbe certo sfigurato nelle sale di un museo del nostro paese.
Ludovico Pratesi
Dal 3 aprile al 10 maggio 2014
Who Shall Deliver Us From The Greeks and Romans?
Galeri Mana
Ali Paşa Değirmeni Sokak, no 16–18
Beyoğlu 34425, İstanbul
Orari: da martedì a sabato 11:00 – 18:00
Info: www.galerimana.com