La scritta si prega di non toccare troneggia all’ingresso della sala espositiva, quasi a voler ribadire che l’arte dei fratelli Jake e Dinos Chapman (Cheltenham, 1966 e Londra, 1962) nasce per essere contemplata, anche quando le opere sembrano suggerire all’interlocutore un approccio interattivo. Così l’installazione When Humans Walked the Earth (2006), ideata per la Tate Britain, mostra dieci bizzarre macchine di bronzo che essendo praticamente inutilizzabili negano all’osservatore il piacere di innescare potenziali reazioni a catena, processi trasformativi e movimenti vari. L’unico modo per poterle mettere in moto consiste nel seguire il percorso disegnato da corde, cinghie, carrucole, catapulte e simili ingranaggi, e nel ricostruire mentalmente il loro possibile funzionamento.
In Everything is beauty and nothing hurts machine ad esempio, se la scultura non fosse in bronzo ma composta da oggetti reali, potremmo accendere la candela riprodotta al centro del tavolo la quale, bruciando una corda, innescherebbe tutta una serie di catastrofiche reazioni a catena. Una spranga colma di chiodi e spuntoni e un pesante bidone si abbatterebbero contro due cervelli inermi, e una catapulta scaglierebbe l’ennesimo cervello contro una parete del museo.
Paradossalmente tali sculture esistono in quanto macchine solo in una dimensione mentale, e proprio in ciò, per alcuni versi, risiede il loro fascino. Nella contingenza dei fatti esse invece si impongono come monumenti bronzei, celebranti le potenzialità generative e distruttive di improbabili macchinari geneticamente modificati.
Gli artisti dichiarano di aver assunto come punto di partenza per tali creazioni Little Death Machine (Castrated), una bizzarra macchina schiaccia cervelli realizzata nel lontano 1993.
L’espressione Little Death è la traduzione letterale di petite mort, un termine francese con cui viene espresso il concetto di orgasmo e che in questo caso è stato esplicitamente adottato dai due artisti per palesare il freudiano legame amore – morte (Eros e Thanatos) presente nelle loro opere. Un rapporto ben visibile anche nell’istallazione della Tate, in cui cinghie, pulegge, pistoni e ingranaggi vari emulano esperienze umane come morire, pensare, respirare e copulare. Instaurando una sorta di relazione simbiotica tra uomo e macchina e restituendoci una visione della coscienza umana e di alcune funzioni biologiche in termini meccanicistici. Come in He thought of death in its infinite groanings…, dove uno pseudo-mantice, con ipotetici movimenti ritmici e simil-copulanti, sembra generare falli che una volta maturi si separano dal corpo madre per poi morire.
La messa in scena di macchinari come opere d’arte non è certo una novità, ma i bad brothers sono riusciti a ritagliarsi una loro specificità imprimendo un po’ ovunque il loro marchio di fabbrica, ossia distribuendo qua e là elementi escatologici come vermi, liquidi organici e frammenti di corpi umani. Inoltre, tutta la cruenza del crash ballardiano, la sua erotica compenetrazione di organico e meccanico, anche se raffreddata dalla materia bronzea, viene rivisitata in una pungente e provocatoria chiave ironica.
enzo lauria
mostra visitata il 9 maggio 2007
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