Va detto sin dall’inizio, le tele di Cecily Brown (London 1969. Vive a New York) fanno scalpore. Che dire di quelle figure sfrontate, violente, che si penetrano tra le frasche (Couple, 2003-2004; Teen-age Wild Life, 2003-2004; Way Beyond Compare, 2003) o che si danno liberamente al sesso orale nei prati (Figures in Garden, 2003)?
E se invece non si condannassero gli intriganti eccessi? Se si guardasse alla qualità del lavoro? Al Reina Sofía sono allineate otto tele di grande formato dell’artista “scoperta” in Italia da Simone Bertaccini (“Facts & Fictions”, galleria In Arco, 1999) e alla quale il Macro ha dedicato una personale nel 2003. L’esiguo numero di tele a Madrid non sminuisce il carattere di novità dell’esposizione, una prima assoluta in Spagna.
Non si può tacere il debito che l’artista contrae con la pittura di Francis Bacon, specie coi lavori degli anni ‘50. Perfino nei titoli Cecily Brown cita il maestro, per esempio in Two Figures in a Landscape (2003-2004; in parallelo con la tela di Bacon, Two Figures in the Grass, 1954). Anche nella tecnica si possono stabilire paragoni, in particolare per la sovrapposizione degli strati materici di colore, in una pittura che giunge talvolta allo “s-figurativo”. Nei due artisti è fondante l’istinto, spesso brutale ed esplicitamente sessuale, come in Sock Monkey (2003) di Brown, che sprigiona la carica in cattività di Study of a Baboon (1953) di Bacon. Per ciò andrebbe rivista la pellicola di Jerzy Skolimowski, The Shout (1978), che “animava” alcuni dipinti del britannico, sovraccaricandoli di quell’energia eroticamente bestiale già sprigionata dalle tele.
D’altro canto, non va obliterato il carattere autenticamente femminile della pratica di Cecily Brown, che non lesina espliciti riferimenti a una liberazione sessuale che credevamo acquisita alla fine degli anni ‘60. Pratiche vilipese come l’onanismo vengono mostrate in Justify My Love (2003) o These Foolish Things (2002). La compulsiva aggressività non si limita all’oggetto delle tele, ma caratterizza costitutivamente la fattura delle opere, specie nel caso di ambientazioni in esterni. Alberi, foglie, arbusti, erba e terreno compartecipano agli atti umani con una virulenza selvaggia, comunicando allo spettatore una forma di panteismo bacchico che nulla ha a che vedere con le consolanti versioni plotiniane della dottrina.
Un discorso apparentemente diverso caratterizza la serie dei Black Painting (2003-2004), il cui setting interno, indistinto, isola sia dal punto di vista ambientale che cromatico la figura e il letto sul quale è distesa. Ancora un omaggio agli “isolamenti” baconiani, anche se nel caso di Brown la gestualità continua a dominare a dispetto di una ben maggiore nitidezza nelle tele di Bacon.
Le immagini pubblicate in questo articolo sono tratte dalla personale di Cecily Brown al Macro, cat. Electa, © foto di Robert McKeever
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e qui sò mazzate per tutti
La Brown lavora sempre per la Marlboro?