Visitando il museo Kiasma di Helsinki non si può avvicinarsi alla grande installazione di legno e metallo Archangel of Seven Seas, senza esserne affascinati o intimoriti, attratti o respinti. L’artista è Markus Copper (Helsinki, 1968 vive a Berlino), presente anche con questa intensa personale presso la Galleria Sculptor.
Copper vanta importanti riconoscimenti, nonostante la giovane età, e diverse opere in permanenza in musei internazionali. Di fronte alle grandi opere meccaniche in movimento che saturano l’ambiente –reso più suggestivo dalla penombra– con rumori industriali intollerabili, carichi di decibel e sadicamente aritmici, si rivivono le stesse sensazioni di smarrimento e di tensione mista a inquietudine, provate dinanzi all’installazione del Kiasma. Tutto appare però aulico, solenne. Sono esposti i lavori più recenti, grandi installazioni dedicate alle storie del mare (miti ricorrenti nella produzione dell’artista): Rose Garten (2002-2004) illustra la leggenda della scoperta del giardino di rose sommerso, individuato anni fa al largo delle isole Galapagos, attraverso cinque grandi bidoni di latta appesi a strutture di metallo, che si muovono avanzando e indietreggiando grazie ad un sistema meccanico; Kursk (2003-2004), il sottomarino nucleare russo recentemente affondato, è rievocato attraverso dodici sagome di silicone nero, tute da palombaro che scalpitano di fronte ad una tetra sezione arrugginita dello scafo di una nave; e infine nove disegni preparatori a china, Piirustukset, utili illustrazioni tecniche dei due progetti.
Sono racconti d’avventura e Markus gioca bene col mito, mischiando storia e fiction, passato e presente. Il Copper scultore e quello performer appaiono ben coniugati nel progettare –con meticolosità maniacale- le grandi macchine, e nel farle vivere. Un gigantismo mimetico che della natura adotta il peso grave delle dimensioni. I bidoni che “sbuffano” aria compressa, oscillando paurosamente come reali minisommergibili alla ricerca delle rose celate dalle acque marine, e il rumore metallico assordante dei “fantasmi” del Kursk (provocato da utensili d’acciaio che si scontrano con violenza), esplodono coralmente. Emerge un gioco di parallelismi -ai limiti del black humor– che vede nelle leggende del mare una metafora di esistenze biologiche, in cui vita e morte sono facce della stessa medaglia.
L’effetto straniante di un’arte che non applica facili seduzioni ma anzi sembra voler respingere lo spettatore -aggredendo fisicamente-, coincide con un tentativo estremo di coinvolgimento simbiotico del pubblico con l’opera e con la sua rappresentazione. Il movimento delle installazioni non si evolve in narrazione, la trama si ripete uguale, all’infinito. E’ pura produzione acustica in cui il suono è azione stessa, soggetto. Nonostante l’inquietudine che certe scenografie post-industriali necrotiche inevitabilmente originano, si finisce con accettarne la provocazione ed esserne parte, fino a quando la claustrofobia del mare spalanca i nostri occhi, rende affannoso il nostro respiro.
link correlati
www.kiasma.it
www.helsinkifestival.fi
www.arsfennica.fi
gaetano salerno
mostra visitata il 30 agosto 2004
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