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10
settembre 2010
fino al 12.IX.2010 Takeshi Kitano Paris, Fondation Cartier
around
Prosegue la traiettoria apparentemente divagante della Fondazione Cartier. Che quest’anno propone una mostra dedicata all’uomo di Mai dire banzai, al regista surreale e spietato...
Nella prefazione
a Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, Michel Foucault
evoca come la lettura di un brano di Jorge Luis Borges gli abbia suscitato una ilarità
recidiva. Il brano racconta un “emporio celeste di conoscimenti benevoli” all’interno del
quale viene proposta una classificazione degli animali: è questa classificazione
a fare tanto ridere Foucault, il fatto che la tassonomia citata proponga accostamenti
per noi impensabili e li disponga seguendo una serie alfabetica (a, b, c, d…).
A suscitare lo sconcerto è il fatto che lo spazio definito per farci incontrare
la tassonomia è in sé impossibile: “Non è la vicinanza delle cose ma il sito
stesso dove esse potrebbero essere vicine ad essere impossibile”.
a Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, Michel Foucault
evoca come la lettura di un brano di Jorge Luis Borges gli abbia suscitato una ilarità
recidiva. Il brano racconta un “emporio celeste di conoscimenti benevoli” all’interno del
quale viene proposta una classificazione degli animali: è questa classificazione
a fare tanto ridere Foucault, il fatto che la tassonomia citata proponga accostamenti
per noi impensabili e li disponga seguendo una serie alfabetica (a, b, c, d…).
A suscitare lo sconcerto è il fatto che lo spazio definito per farci incontrare
la tassonomia è in sé impossibile: “Non è la vicinanza delle cose ma il sito
stesso dove esse potrebbero essere vicine ad essere impossibile”.
Nella complessità
della ricostruzione foucaultiana troviamo menzionato il magistero di Raymond
Roussel e una “celebre tavola d’operazioni” che potrebbe farci venire in
mente la Table de Diagnostic di Chen Zhen e una chiave di
lettura delle modalità con le quali egli gestisce il registro surrealista.
della ricostruzione foucaultiana troviamo menzionato il magistero di Raymond
Roussel e una “celebre tavola d’operazioni” che potrebbe farci venire in
mente la Table de Diagnostic di Chen Zhen e una chiave di
lettura delle modalità con le quali egli gestisce il registro surrealista.
Utilizziamo
questo preambolo per cercare di leggere il modo in cui, alla Fondazione Cartier
di Parigi, Takeshi Kitano (Tokyo, 1947), noto al mondo in quanto regista
di film e personaggio televisivo, si presenta quale artista.
questo preambolo per cercare di leggere il modo in cui, alla Fondazione Cartier
di Parigi, Takeshi Kitano (Tokyo, 1947), noto al mondo in quanto regista
di film e personaggio televisivo, si presenta quale artista.
Cosa vuol dire,
per Kitano, essere artista? Lui nega di esserlo (per esempio, nel catalogo che
accompagna la mostra), afferma di sentirsi sovrastimato, mette le sue opere al
livello della produzione ludica di un ragazzo di dodici anni.
per Kitano, essere artista? Lui nega di esserlo (per esempio, nel catalogo che
accompagna la mostra), afferma di sentirsi sovrastimato, mette le sue opere al
livello della produzione ludica di un ragazzo di dodici anni.
Dal suo testo
ricaviamo poco, in realtà: oltre a una citazione di Leonardo da Vinci come maestro di
riferimento, Kitano scivola sui temi e si disimpegna, sostenendo di avere un
atteggiamento poco serio nei confronti dell’arte contemporanea e di essere
fautore di una relazione meno snob e più facile con un’arte meno contratta e
accessibile a tutti. Per capire il significato del suo lavoro dobbiamo guardare
le opere e, forse, confrontarle con il resto della sua produzione, del suo show
e della sua cinematografia.
ricaviamo poco, in realtà: oltre a una citazione di Leonardo da Vinci come maestro di
riferimento, Kitano scivola sui temi e si disimpegna, sostenendo di avere un
atteggiamento poco serio nei confronti dell’arte contemporanea e di essere
fautore di una relazione meno snob e più facile con un’arte meno contratta e
accessibile a tutti. Per capire il significato del suo lavoro dobbiamo guardare
le opere e, forse, confrontarle con il resto della sua produzione, del suo show
e della sua cinematografia.
Alla Fondazione
Cartier ci sono video, installazioni, giochi, provocazioni, quadri con i quali
Kitano ci chiede di “divertirci senza pensare”. Una parte sono
disegni che raffigurano scene oniriche infantili. Tra questi, alcuni sono da
colorare. Kitano ce ne propone la versione colorata da lui e quella che
chiunque può, più o meno virtualmente o immaginariamente, colorare a proprio
piacimento. Può essere un’immagine che ha egli stesso concepito, un acquario
con il pesciolino e il gatto, un essere umano con una finestra sulle sue
interiora, la riduzione sintetica di ritratti che si vedono sui poster di riproduzioni
artistiche.
Cartier ci sono video, installazioni, giochi, provocazioni, quadri con i quali
Kitano ci chiede di “divertirci senza pensare”. Una parte sono
disegni che raffigurano scene oniriche infantili. Tra questi, alcuni sono da
colorare. Kitano ce ne propone la versione colorata da lui e quella che
chiunque può, più o meno virtualmente o immaginariamente, colorare a proprio
piacimento. Può essere un’immagine che ha egli stesso concepito, un acquario
con il pesciolino e il gatto, un essere umano con una finestra sulle sue
interiora, la riduzione sintetica di ritratti che si vedono sui poster di riproduzioni
artistiche.
Ci sono poi
prodotti prêt-à-porter come il portasushi con inclusi sushi e sashimi (tutto in
plastica) e altre espressioni del modo in cui le persone del mondo attingono
alla tradizione giapponese. Poi un kit per salvarsi in caso di condanna a morte
e una serie di altre trovate, gag, provocazioni, ammiccamenti con i quali, in
effetti, Kitano cerca di accostare l’inaccostabile e propone uno spazio di
condivisione al quale non riusciamo ad accedere se non, come egli stesso suggerisce,
“divertendosi senza pensare”.
prodotti prêt-à-porter come il portasushi con inclusi sushi e sashimi (tutto in
plastica) e altre espressioni del modo in cui le persone del mondo attingono
alla tradizione giapponese. Poi un kit per salvarsi in caso di condanna a morte
e una serie di altre trovate, gag, provocazioni, ammiccamenti con i quali, in
effetti, Kitano cerca di accostare l’inaccostabile e propone uno spazio di
condivisione al quale non riusciamo ad accedere se non, come egli stesso suggerisce,
“divertendosi senza pensare”.
Forse sono
proprio tutti questi accostamenti, tanto impossibili quanto messi in ordine da
una grafica infantilistica, da un disegno così disimpegnato da diventare una
rinuncia, a ricordare quel passo citato da Borges ed evocato da Foucault. E
forse questo è il senso del finto sushi confezionato nel finto pesce: uno
spazio di interazione tra noi e il senso che è tanto decontratto quanto impossibile.
proprio tutti questi accostamenti, tanto impossibili quanto messi in ordine da
una grafica infantilistica, da un disegno così disimpegnato da diventare una
rinuncia, a ricordare quel passo citato da Borges ed evocato da Foucault. E
forse questo è il senso del finto sushi confezionato nel finto pesce: uno
spazio di interazione tra noi e il senso che è tanto decontratto quanto impossibile.
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visitata il 2 agosto 2010
dall’undici
marzo al 12 settembre 2010
Beat
Takeshi Kitano – Gosse de peintre
Fondation
Cartier pour l’art contemporain
261,
boulevard Raspail – 75014 Paris
Orario:
martedì ore 11-22; da mercoledì a domenica ore 11-20
Ingresso:
intero € 6,50; ridotto € 4,50; gratuito il mercoledì ore 14-18
Catalogo
Fondation Cartier pour l’art contemporain-Actes Sud
Info:
tel. +33 0142185650; fax +33 0142185652; fondation.cartier.com
[exibart]
gentile Calabretta, ho visto la ‘mostra’ (chiamiamola così) di Beat Kitano alla Fondazione Cartier, e sono quindi sobbalzato sulla sedia leggendo il suo pezzo con citazioni di Borges, Foucault (!), Raymond Roussel.. questo è un caso emblematico di come a volte, se uno non ha potuto vedere la mostra recensita, se ne fa un’idea completamente stravolta.
Kitano è molto simpatico e l’antologia di ‘highlights’ dal suo lavoro televisivo, antecedente all’attività cinematografica (preziosissima, fra l’altro, per capire meglio il suo cinema) vale il prezzo del biglietto, ma l’operazione, nel suo complesso, è proprio soltanto quella, indurre i visitatori a “divertirsi senza pensare”, nient’altro.
per una volta che l’autore/artista è sincero e non gioca a fare l’ermetico, perché ostinarsi sempre e comunque con la dietrologia?