04 maggio 2019

Fino al 12.V.2019 Theaster Gates, Amalgam Palais de Tokyo, Parigi

 

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43.78° N, 69.88° W, al largo di Phippsburg, si estende l’isola di Malaga con la sua incredibile storia, e a raccontarla è Theaster Gates nel suo primo solo show in Francia, in una bella mostra dal titolo “Amalgam”, al Palais de Tokyo fino al 12 maggio. L’esposizione fa parte di Sensible, titolo della nuova stagione apertasi al tempio parigino dell’Arte Contemporanea che presenta, tra movimenti incerti e imprevedibili, migrazioni e sradicamenti, i lavori di Angelica Mesiti, Julien Creuzet, Louis-Cyprien Rials, Julius von Bismarck e Franck Scurti. L’artista africano-americano che affronta qui la questione della mescolanza etnica, ci parla di una vicenda umana rimasta segreta per decenni. Di che si tratta? Siamo nel 1912 negli Stati Uniti, e i pochi abitanti dell’isola di Malaga vengono sfrattati per ordine del Governatore del Maine, le loro case bruciate, il villaggio rastrellato a zero a eccezione della scuola che smantellata viene trasferita a Louds Island nella baia di Muscongus. Questa comunità molto unita di 45 persone composta da neri, bianchi e meticci, che viveva per lo più di pesca, rappresentava allora un modello sociale inammissibile. Malaga diventa sinonimo d’immoralità, costringendo gli isolani scacciati a non parlare mai delle loro origini per paura di essere emarginati, ed è da questo silenzio che nasce Amalgam. Gates in questo progetto inedito segue le tracce di questo microstato riabilitandone la memoria, sviluppando l’idea di mischiare per unire, da qui un focus sull’essere meticcio e la sua ricerca di un’identità culturale e sociale, leitmotiv della mostra. Quest’ultima rinnova e arricchisce le questioni affrontate dall’artista quali l’identità e i territori, le disuguaglianze etniche e religiose negli Stati Uniti. Chi è Theaster Gates? Vigoroso e appassionato, classe 1973, vive e lavora a Chicago. Gates è un artista multimediale, curatore, urbanista, musicista, insegnante, che ha partecipato alla Biennale del Whitney Museum of American Art nel 2010, a dOCUMENTA (13), e alla 56a Biennale di Venezia. The Black Madonna, uno tra i progetti più recenti, attraversa tra performance, fotografia e musica, la storia e l’immagine della donna nera, avvalendosi degli archivi della Johnson Publishing Corporation, editore delle riviste Jet e Ebony. Torniamo alla mostra che tra installazioni, sculture e musica, si disloca lungo quattro sezioni, quali Autel, Island Modernity Institute and Department of Tourism, So Bitter This Curse of Darkness e Dance of Malaga, in cui presenta il suo ultimo film dal titolo The dancers of Malaga, realizzato in parte sull’isola in collaborazione con il suo gruppo musicale, Black Monks of Mississippi e con il noto coreografo Kyle Abraham. Il film è un omaggio all’isola e al suo passato, che vede centrale la presenza del corpo nero, meticcio e bianco che si esprime in danze che trasmettono dolore ma anche amore e pace, oltre a testimonianze sulla mescolanza etnica. L’idea di amalgama è ovunque anche nei dettagli, come per le copertine di due libri, una nera e l’altra bianca, che portano i nomi di Jet e Ebony, due riviste dedicate alla popolazione africana-americana degli Stati Uniti. 
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Theaster Gates, Amalgam, Palais de Tokyo, 2019 © André Morin
Poste su un piedistallo queste conducono a un’installazione monumentale, una foresta costruita con tronchi di alberi, tagliati perché malati questi vengono da Chicago. Sono frassini sovrastati da maschere di bronzo provenienti da calchi di sei maschere africane di legno di varie origini che danno forma alla memoria. Si sviluppa qui l’idea di tramandare alle generazioni presenti e future leggende, ritualità, storie familiari e sociali, conoscenze e abilità tecniche e pratiche. Se queste vengono cancellate, negate, che senso prende la nozione di trasmissione e di eredità? Da qui l’importanza della resilienza, simboleggiata dalla natura lussureggiante dell’isola e dalla sua incredibile capacità di rigenerarsi. Gli archivi, tra l’altro, rappresentano per l’artista una fonte per ricostruire vicende slegate, sparpagliate, anche attraverso oggetti che riorganizzati prendono forma qui di una ‘fake archeology’, così ha definito Gates la sua installazione Island Modernity Institute and Department of Tourism. L’artista ricongiunge così, attraverso oggetti, ma anche nuove forme scultoree la storia dell’isola a quella universale dell’uomo. L’esposizione inizia infatti con una scultura monumentale Altar, in omaggio agli abitanti di Malaga, che prende la forma di un tetto in ardesia, clin d’œil ai tetti della capitale francese. Il percorso continua con Island Modernity Institute and Department of Tourism, questo ufficio del turismo immaginario in cui troneggia la scritta al neon At the end nothing is pure, mentre accanto c’è una grande lavagna in cui sono riportati fatti della storia africana-americana in eco a quella europea sul colonialismo. Appoggiato alla rinfusa troviamo un LP della cantante Mahalia Jackson, la cui magnifica voce fuoriesce da un giradischi piazzato in un corridoio che ci conduce al film The dancers of Malaga. Quest’ultimo presenta, fra l’altro, un passaggio del film Lo specchio della vita (1959), alla quale Mahalia partecipò. Chi era Mahalia Jackson? Indiscussa regina del gospel, questa era impegnata, tra l’altro, sul fronte delle lotte dei diritti civili dei neri d’America affianco a Martin Luther King. Un percorso che è anche interiore in cui il termine di mescolanza va oltre quello etnico per incorporare altre realtà che, svelando altre alterità culturali e sociali, arricchiscono varie categorie del pensiero nonché la dimensione sociale e individuale della nostra esistenza. Tanto altro da scoprire lungo questa esposizione imperdibile, supportata da Regen Projects Gallery (Los Angeles), Richard Gray Gallery (Chicago) e White Cube (Londra e Hong Kong), oltre che da Gagosian. 
Livia de Leoni
Mostra visitata il 10 aprile
Dal 20 febbraio al 12 maggio 2019
Theaster Gates, Amalgam
Palais de Tokyo
13, avenue du Président Wilson 75116 Parigi
Info: www.palaisdetokyo.com

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