Organizzata dalla Dia Art Foundation in collaborazione con la National Gallery of Art di Washington, Dan Flavin: A Retrospective, presentata al LACMA (Los Angeles County Museum of Art), è la tappa finale di una mostra itinerante tra Stati Uniti e Europa.
L’esposizione si sviluppa ripercorrendo cronologicamente tutta la carriera di Dan Flavin (New York, 1933-1996), considerato uno dei fondatori del Minimalismo insieme ad artisti come Donald Judd, Carl Andre, Sol LeWitt, Ellsworth Kelly e Frank Stella. Il movimento prende forma dall’Espressionismo Astratto, che domina la scena dell’arte americana post bellica, dove la gestualità è l’elemento emblematico. Il minimalismo reagisce al trasporto emozionale mettendo in primo piano il distacco verso ogni significato simbolico o referenziale e prediligendo, quindi, un “freddo” razionalismo estetico che si esprime attraverso l’uso di materiali industriali che enfatizzano neutralità e geometria delle forme.
La mostra riesce facilmente a sintetizzare l’essenza del minimalismo di Flavin, il quale, dal 1963, fa delle luci fluorescenti a neon disponibili sul mercato (blu, verde, giallo, rosso, ultravioletto e bianco) il mezzo artistico di elezione, combinando sapientemente pittura e scultura. La luce diventa così l’elemento tridimensionale che distrugge l’equilibrio geometrico dello spazio circostante creando nuove composizioni prospettiche. Si parte dai primi esperimenti, nel 1962, in cui pannelli quadrati monocromi sono perimetrati da bulbi luminosi, che l’artista chiama ironicamente “icone” in riferimento alla sua tradizione religiosa: “Le mie ‘icone’ sono sciocche, anonime e senza gloria. Sono mute e non raffinate… non glorificano il Salvatore come nelle elaborate cattedrali. Sono costruite per celebrare le stanze sterili.”
Icon V (Coran’s Broadway Flesh) è tra le più grandi di questa serie, dove 28 bulbi incandescenti fanno da contorno al rosso vivo del pannello centrale.
Si passa poi al famoso neon giallo posizionato a 45 gradi su una parete bianca: Diagonal of may 25, 1963 (to Constantin Brancusi), dedicato appunto al grande artista rumeno che Flavin ammirava profondamente, rappresenta l’elemento di svolta della sua concezione artistica. E sono molte le opere dedicate ad amici e ad artisti contemporanei e non come Jasper Johns, Donald Judd e Henri Matisse. A quest’ultimo è dedicata un’affascinante installazione in cui luci rosa, gialle, blu e verdi si amalgamano in una naturale luce chiara. Lo stesso esperimento, in rosso, giallo e blu, viene applicato in Green crossing greens (to Piet Mondrian who lacked green), dedicato a Piet Mondrian, famoso per l’uso di colori primari.
Il percorso porta poi in una stanza apparentemente più isolata delle altre, dove ci si trova avvolti dal rosso globoso e sanguigno di Monument 4 for those who have been killed in ambush (to P.K who reminded me about death) (1966), che rivela l’impegno politico dell’artista. Ma forse le opere più note al grande pubblico sono i “monuments”, realizzati con serie di tubi a neon bianchi di varie lunghezze, di cui esiste una larga produzione intitolata allo scultore costruttivista Vladimir Tatlin, che con Monument to the third international, (1919-20) diventò simbolo dell’utopico sogno di dare all’arte una valenza prettamente sociale e scientifica. La lettura di Dan Flavin è decisamente ironica e paradossale, e mette palesemente in antitesi significato e significante. La mostra prevede inoltre tre ricostruzioni di “corridors” installati per E.F. Hauserman Co. showroom, in cui l’artista sbarra il passaggio con una serie di neon di differenti combinazioni cromatiche (untitled – in honour of Harold Joachin- 3, 1977), oppure creando illusioni prospettiche tramite diagonali di luci blu fluorescenti ai lati e sul soffitto del corridoio.
Il risultato globale è accattivante, la luce avvolge lo spettatore stanza dopo stanza, deformando lo sguardo, creando situazioni “get-in get-out” (come le definì l’artista stesso), ma senza la pretesa di una meditazione escatologica. È forse questa una ‘lezione’ sull’ arte contemporanea?
La mostra include anche un secondo piano dove sono esposti numerosi disegni precedenti alle installazioni e i progetti di queste ultime.
leonardo proietti
mostra visitata il 31 maggio 2007
Alle Gallerie d'Italia di Vicenza, in mostra la scultura del Settecento di Francesco Bertos in dialogo con il capolavoro "Caduta…
La capitale coreana si prepara alla quinta edizione della Seoul Biennale of Architecture and Urbanism. In che modo questa manifestazione…
Giulia Cavaliere ricostruisce la storia di Francesca Alinovi attraverso un breve viaggio che parte e finisce nella sua abitazione bolognese,…
Due "scugnizzi" si imbarcano per l'America per sfuggire alla povertà. La recensione del nuovo (e particolarmente riuscito) film di Salvatores,…
Il collezionista Francesco Galvagno ci racconta come nasce e si sviluppa una raccolta d’arte, a margine di un’ampia mostra di…
La Galleria Alberta Pane, 193 Gallery, Spazio Penini e Galleria 10 & zero uno sono quattro delle voci che animano…