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03
novembre 2008
fino al 13.IV.2009 Dominique Gonzalez-Foerster London, Tate Modern
around
Dietro una tenda di liane in nylon si riversa una pioggia torrenziale. Presagio di un pioggia senza fine che colpirà Londra nel 2058. E dove vanno i londinesi? Si rifugiano nella Turbine Hall. Fra letti a castello, libri e sculture giganti, Gonzalez-Foerster ci vede lungo...
Nella Museum Hall più famosa di Londra, il passato racconta il futuro. La premonizione ci proietta, infatti, nel 2058, quando – secondo Dominique Gonzalez-Foerster (Strasburgo, 1965; vive a Parigi e Rio de Janeiro) – una pioggia senza fine sommergerà la capitale britannica. E i suoi abitanti, sfollando dalle proprie abitazioni, troveranno rifugio nella hall della Tate Modern. L’arte diventa dunque rifugio, riparo, la nuova casa dove trovare conforto.
Ma cosa significa esattamente sentirsi a casa? Secondo l’artista non vuol dire necessariamente trovare le stesse cose che si hanno nella propria abitazione, cioè spostandosi con i propri bagagli. Significa piuttosto sentirsi circondati da affetto, accuditi. Sentirsi a casa non nel senso di far parte di una famiglia, ma di sentirsi al sicuro.
TH.2058, ora vero e proprio set cinematografico, diventa così l’esplorazione dello spazio potenziale del museo attraverso la rilettura di alcuni concetti indagati e sviluppati da Gonzalez-Foerster negli ultimi anni della sua ricerca. Il concetto di rifugio, ad esempio, che qui prende forma nei duecento letti a castello disseminati di libri, ripercorre l’idea che già sottendeva la serie Chambres, una sequenza di ambienti, personali e domestici, spazi in cui l’artista ha sempre cercato un’immersione totale, relazionandosi con il luogo fisico piuttosto che con gli oggetti. L’ambiente, dunque, è metafora di natura e l’oggetto costituisce solo un filtro per comprenderla, per abitarla.
L’insieme degli elementi che richiamano il rifugio si arricchisce delle riproduzioni a grande scala delle installazioni della precedente Unilever Serie, quella di Louise Bourgeois, e delle sculture pubbliche di Alexander Calder, Henry Moore, Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen. Ingrandite del 25% per azione della pioggia, solo evocata a livello sonoro, le sculture diventano un modo per riconsiderare il vocabolario esistente e permettere che le cose diano voce a significati diversi. Ed è così che il tempo presente di chi si avventura nella TH s’impasta del passato del luogo, vestendosi di futuro. Una sorta di “proliferazione tropicale” dove, nel 2058, si amalgamano corpi alti e bassi, trasformati in materiale apparentemente organico. In divenire.
Il percorso è quindi condizionato da ciò che vediamo e da ciò che udiamo. Tra suoni, libri, l’eco di una bossa nova, fa da sfondo una proiezione di sequenze cinematografiche. È The Last Film, la raccolta delle citazioni selezionate dall’artista per raccontare il rifugio, partendo dalle pellicole sperimentali di Chris Marker e Peter Watkins, sino alle immagini di fantascienza di George Lucas. Altre scene di riparo, infine, ricavate da Soylent Green di Richard Fleischer e da Toute la mémoire du monde di Alain Resnais, raccontano di una fuga in cui l’uomo – lo sottolineano anche i frame di Teorema di Pasolini e l’apocalittica esplosione di Zabriskie Point di Antonioni – non sembra solo cercare protezione ma, prima di tutto, se stesso.
E se dopo la tempesta arriva la quiete, nella Turbine Hall compariranno allora anche i primi raggi di sole. Somewhere over the rainbow.
Ma cosa significa esattamente sentirsi a casa? Secondo l’artista non vuol dire necessariamente trovare le stesse cose che si hanno nella propria abitazione, cioè spostandosi con i propri bagagli. Significa piuttosto sentirsi circondati da affetto, accuditi. Sentirsi a casa non nel senso di far parte di una famiglia, ma di sentirsi al sicuro.
TH.2058, ora vero e proprio set cinematografico, diventa così l’esplorazione dello spazio potenziale del museo attraverso la rilettura di alcuni concetti indagati e sviluppati da Gonzalez-Foerster negli ultimi anni della sua ricerca. Il concetto di rifugio, ad esempio, che qui prende forma nei duecento letti a castello disseminati di libri, ripercorre l’idea che già sottendeva la serie Chambres, una sequenza di ambienti, personali e domestici, spazi in cui l’artista ha sempre cercato un’immersione totale, relazionandosi con il luogo fisico piuttosto che con gli oggetti. L’ambiente, dunque, è metafora di natura e l’oggetto costituisce solo un filtro per comprenderla, per abitarla.
L’insieme degli elementi che richiamano il rifugio si arricchisce delle riproduzioni a grande scala delle installazioni della precedente Unilever Serie, quella di Louise Bourgeois, e delle sculture pubbliche di Alexander Calder, Henry Moore, Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen. Ingrandite del 25% per azione della pioggia, solo evocata a livello sonoro, le sculture diventano un modo per riconsiderare il vocabolario esistente e permettere che le cose diano voce a significati diversi. Ed è così che il tempo presente di chi si avventura nella TH s’impasta del passato del luogo, vestendosi di futuro. Una sorta di “proliferazione tropicale” dove, nel 2058, si amalgamano corpi alti e bassi, trasformati in materiale apparentemente organico. In divenire.
Il percorso è quindi condizionato da ciò che vediamo e da ciò che udiamo. Tra suoni, libri, l’eco di una bossa nova, fa da sfondo una proiezione di sequenze cinematografiche. È The Last Film, la raccolta delle citazioni selezionate dall’artista per raccontare il rifugio, partendo dalle pellicole sperimentali di Chris Marker e Peter Watkins, sino alle immagini di fantascienza di George Lucas. Altre scene di riparo, infine, ricavate da Soylent Green di Richard Fleischer e da Toute la mémoire du monde di Alain Resnais, raccontano di una fuga in cui l’uomo – lo sottolineano anche i frame di Teorema di Pasolini e l’apocalittica esplosione di Zabriskie Point di Antonioni – non sembra solo cercare protezione ma, prima di tutto, se stesso.
E se dopo la tempesta arriva la quiete, nella Turbine Hall compariranno allora anche i primi raggi di sole. Somewhere over the rainbow.
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L’intervento di Doris Salcedo
claudio cravero
mostra visitata il 16 ottobre 2008
dal 14 ottobre 2008 al 13 aprile 2009
The Unilever Series. Dominique Gonzalez-Foerster – TH2058
Tate Modern – Turbine Hall
Bankside – SE1 9TG London
Orario: da domenica a giovedì ore 10-18; venerdì e sabato ore 10-22
Ingresso libero
Info: +44 02078878888; visiting.modern@tate.org.uk; www.tate.org.uk/modern
[exibart]