Nato a Roma da genitori inglesi negli anni in cui i giovani artisti della
Pre-Raphaelite Brotherhood si ribellano alla pittura accademica corrente,
John William Waterhouse (Roma, 1849 – Londra, 1917) comincia la sua carriera sotto l’influenza di
Edward Burne-Jones.
Promotore di una ripresa del pre-raffaellismo negli anni ‘70, Burne-Jones interpreta le idee estetizzanti di
Rossetti in opere di sapore simbolista. Da lui Waterhouse eredita lo stile morbido e il gusto per Tennyson, Keats e Shakespeare. Ma, di fatto, Waterhouse preraffaellita non lo è mai stato. Perché, quando nel 1870 entra alla Royal Academy Schools di Londra, la Confraternita non esiste più (dissoltasi nel 1853) e dei preraffaelliti non apprezza l’intensità emotiva fino al 1886, quando visita una retrospettiva di
Millais e scopre
Ophelia. Ed è una rivelazione.
Con le sue oltre quaranta opere avvolte dalle pareti rosso-caldo della Royal Academy,
J.W. Waterhouse: The Modern Pre-Raphaelite esplora il momento fondamentale dello sviluppo dell’artista e il suo avvicinarsi ai temi preraffaelliti nel momento in cui assorbe la spontaneità pittorica del Naturalismo francese.
Sulle orme di
Lawrence Alma-Tadema, promotore negli anni ‘70 di un nuovo approccio pittorico all’antichità classica, nelle composizioni di questi anni Waterhouse ripropone l’archeologica accuratezza dell’olandese.
Ma i suoi sono dipinti più drammatici, di grandi dimensioni, popolati da soggetti eruditi tratti da Omero e Ovidio e dalla storia cristiana (come
St. Eulalia, 1885, dal corpo bianco e seminudo dipinto con agghiacciante realismo e sensualità al limite dell’erotismo) resi con una pennellata più ampia e definita, e da ombre e luci più marcate.
Affascinato dall’occulto, a partire dal 1890 Waterhouse crea immagini di metamorfosi dal sapore simbolista, scenari incantati in cui si muovono la sacerdotessa di
The Magic Circle (1886) e
The Lady of Shalott (1888), sirene dai lunghi capelli e dalle labbra carnose che diventano il suo “marchio di fabbrica”. E
Circe Invidiosa: Circe Poisoning the Sea (1892), la cui cupa narrazione enfatizzata dal formato verticale è resa con la pennellata veloce e quadrata del Naturalismo francese.
Ispirato dalla letteratura greca e dai poemi di Shelley, in questo periodo Waterhouse abbandona i complessi fondali architettonici e la luce brillante dei suoi lavori precedenti per sostituirli con le divinità pagane della natura, opportunamente trasferite da un contesto mediterraneo al paesaggio inglese, come in
Hylas and the Nymphs (1896).
Con l’arrivo nuovo secolo, tuttavia, il passato mitico e le sue donne fatali passano di moda: non più oggetto di dibattito tra Ruskin e Dickens e oscurata dal modernismo delle avanguardie, l’arte dei preraffaelliti è sommariamente archiviata da Roger Fry come “
parrocchiale e illustrativa”.
Come altri pittori vittoriani, Waterhouse non abbraccia lo spirito modernista del Novecento. Al contrario: torna ai temi storici e letterari cari ai preraffaelliti e che si materializzano in sogni dipinti, come i più tardi
Tristram & Isolde (1916) e
The Decameron (1916) – in cui la catastrofe della Prima guerra mondiale è paragonata alla peste – resi con la tecnica compendiaria e il colore brillante e leggero degli ultimi anni.
Modesto, tranquillo e felicemente sposato, nella vita privata Waterhouse non è per nulla tormentato dalle sensuali bellezze che popolano le sue storie. Perché i suoi quadri non vogliono essere niente più di quello che sono: storie. E quando la storia finisce, finisce anche il dipinto. Sesso, ossessione, tradimento, debolezza: questo raccontano le immagini senza tempo di Waterhouse. Ed è proprio questa capacità di rappresentare la fragilità della condizione umana che lo rende speciale.