Yves Klein (Nizza, 1928 – Parigi, 1962) è un avanguardista del tutto particolare. La sua opera, per quanto intellettualmente e visivamente incompromissoria, è dotata di un potenziale impatto anche sul grande pubblico. Partecipative, sensoriali, elevatrici, le sue invenzioni possono essere, se non capite, intuite da quasi tutti. Ovviamente il rischio di banalizzazione è dietro l’angolo: spiritualismo, piacere sensoriale fine a se stesso e alchimismo occhieggiano, pronti a essere sovrapposti ai lavori di Klein da critici e visitatori superficiali.
La straordinaria mostra al Museo d’Arte di Lugano evita tali rischi con un allestimento all’insegna del rigore. Quasi una “presentazione” del lavoro di Klein, più che una sua esposizione; un percorso da leggere per scarti laterali, come le pagine di un libro. Un percorso in sottrazione, per quanto completo, che gode però d’improvvise esplosioni d’intensità.
Utile sia per neofiti che per esperti, la mostra allinea tutti i cicli principali dell’artista (i monocromi, le
Antropometrie, le
Pitture di fuoco, le sculture) ma propone anche rarità spesso trascurate.
La prima parte associa dipinti e memorabilia, e introduce con una serie di dipinti “cosmici” la figura di
Rotraut Uecker (Rerik, 1938), moglie artista di Klein.
Dalla terza sala in poi, il ritmo è mozzafiato. Sin dall’inizio, con una selezione di rari monocromi: non solo i tre colori che diventeranno classici del francese – blu, oro e rosa – ma molti altri su cui sperimentò a inizio carriera. La testimonianza storica è ancor più di rilievo dato che si tratta dei primi monocromi, ruvidi e con i segni della stesura, realizzati prima che Klein affinasse il metodo per fissare i pigmenti sulla tela.
La dimensione ridotta di alcune stanze non è un handicap, anzi, la scansione delle opere crea accumulazione e drammaticità, con continui colpi di scena narrativi e alcune improvvise aperture. È il caso della stanza delle spugne, affastellate come se stessero prendendo vita, o dei
Portraits-réliefs, appesi a picco sopra una vasca di pigmento puro blu, visione davvero vertiginosa e improvvisa dall’alto. Eccezionale anche la saletta sulle sculture monocrome blu, con coralli, mappamondi e Veneri, e di rara chiarezza quella sulle
Zone di sensibilità immateriale.
La mostra ha un’efficace appendice per le vie cittadine e sul lungolago, dove campeggiano le sculture di Rotraut. Mai davvero riconosciuta dalla storia dell’arte, ricordata solo nelle biografie come moglie di Klein, in quest’occasione le viene concesso d’integrare il paesaggio di Lugano con le sue forme metallizzate, un po’
joie de vivre e un po’ specchio della freddezza dei tempi postindustriali.
Ed è proprio quest’appendice che stabilisce un collegamento tra il blu del cielo della città svizzera e quello del cielo di Nizza, sopra la Baie des Anges, da cui nacque l’ispirazione di Klein nel 1946, come racconta lui stesso.