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02
febbraio 2010
fino al 14.II.2010 The Hidden Decade Kraków, Bunkier Sztuki
around
Cosa resterà della videoarte in Polonia negli anni ‘80? Oltre 20 installazioni per raccontare un decennio di transizione fecondo per gli artisti polacchi. Ancora braccati dal potere ufficiale...
A dispetto di ogni sospetto, gli
artisti polacchi hanno cominciato a sfruttare lo schermo relativamente presto
rispetto agli altri colleghi dell’ex blocco sovietico. Già all’inizio degli
anni ’70 il gruppo Warsztat Formy Filmowej operante a Lódz, capitale
della cultura cinematografica, aveva cominciato a interrogarsi sulle possiblità
offerte dal videoschermo e dalla fotografia. Tra i nomi di spicco del gruppo
WFF, Józef Robakowski e il recentemente scomparso Wojciech Bruszewski.
La mostra collettiva ideata da
Piotr Krajewski, curatore del WRO Art Center di Breslavia, offre un
video-resoconto dettagliato della transizione artistica e culturale di un paese
passato nel giro di un decennio dalla legge marziale alla democrazia. È tempo
di fare un bilancio di questa transizione.
In questo contesto, l’allusione ha
rappresentato un metodo efficace strada per criticare il potere lontano dai
riflettori dell’arte di stato promossa dai circoli artistici ufficiali, e del
più tollerante circuito parrocchiale teso a promuovere il contenuto a scapito
della forma. L’opera in bianco e nero di Róbakowski, Video is Power (1984), è esemplare di questa
strategia narrativa: l’artista si è filmato con camera fissa a torso nudo in
posa ufficiale, impugnando ogni volta un oggetto diverso (un trapano, una sega,
un detersivo). Articoli di uso quotidiano accostati al corpo parodico del
potere, per irridere senza far nomi la retorica gestuale dell’autoritarismo.
Altri artisti hanno preferito
rispondere alla mancata libertà d’espressione con performance private,
rigorosamente amatoriali. Sembra quasi che gli artisti si siano auto-confinati
agli arresti domiciliari soltanto per saggiare e mostrare i lividi della
repressione sul proprio corpo. Ecco allora i giochi goffi, o più precisamente
le acrobazie giocose del gruppo Lódz Kaliski, le testate di Wojciech Zamiara e i Liberating Exercises (1987) di Marek Janiak, che cerca di restare in
equilibrio su una sedia pieghevole destinata irrimediabilmente a chiudersi. Una
vera e propria ginnastica dell’assurdo che ricorda alcuni esperimenti corporei
eseguiti da Bruce Nauman alla fine degli anni ‘60.
Quando il proprio corpo non sembra
bastare, si possono sempre manipolare gli oggetti. Se Janiak si accontenta di
impilare senza successo due bocce, nel più recente e pericoloso Walk or
Drive (1994-95) Igor
Krenz propone
alcuni saggi audaci di bricolage alla Fischli & Weiss: un congegno di leve e contrappesi
calibrato per rompere con un colpo di martello una lampadina e, ancora, una più
pericolosa fionda
per coltelli testata in prima persona. I relitti di questa performance sono gli
unici oggetti di scena esposti in un spazio dominato da oltre venti schermi che
ripropongono in loop un “best of” della video arte polacca a cavallo
tra gli anni ‘80 e ‘90.
Sorprende vedere come alcuni
artisti forzatamente isolati dal resto del mondo dell’arte abbiano avuto
l’intuizione di citare con alcuni anni di ritardo alcuni capisaldi
internazionali dell’ultimo trentennio. In Continuity of Infinity (1988), Zygmunt Rytka s’impegna a numerare con un
pennarello una quantità indefinita di ciottoli trovati sul bordo di un fiume,
in perfetto stile Land Art. In Runner (1993), Piotr Wyrzykowski sovrappone alcune tremolanti
tracce video per raccontare di profilo la sua corsa cittadina, veloce e
frenetica come un videogioco bidimensionale: un lavoro che sarebbe sicuramente
piaciuto al guru polacco del cinema sperimentale, Zbigniew Rybczysńki.
L’esistenza di un linea realistica
nella produzione video locale è testimoniata dai lavori di taglio più
sociologico del collettivo Wspólnota Leeezeć. Nell’happening Lyying Dead or
Testing The Miracle Theory (1990), alcuni esponenti del gruppo si sono stesi a terra coperti da
un lenzuolo bianco, mettendo in scena la propria morte, per testare e filmare
le reazioni dei passantisul viale principale di Lódz. Colpiscono come un
pugno in faccia le riprese dal vivo di Piotr Bikont, che monta insieme immagini di
repertorio della televisione di stato, con le riprese dal vivo di alcune
proteste studentesche locali di poco precedenti alla caduta del muro di
Berlino.
Una mostra densa ed esauriente, che ha il pregio di
raccontare il dilemma fecondo degli artisti polacchi negli ‘80, costretti a
decidere fra l’urgenza di raccontare la realtà e l’esigenza formale di
sintonizzarsi con le ultime linee di ricerca dell’arte prodotta a Ovest del
muro.
artisti polacchi hanno cominciato a sfruttare lo schermo relativamente presto
rispetto agli altri colleghi dell’ex blocco sovietico. Già all’inizio degli
anni ’70 il gruppo Warsztat Formy Filmowej operante a Lódz, capitale
della cultura cinematografica, aveva cominciato a interrogarsi sulle possiblità
offerte dal videoschermo e dalla fotografia. Tra i nomi di spicco del gruppo
WFF, Józef Robakowski e il recentemente scomparso Wojciech Bruszewski.
La mostra collettiva ideata da
Piotr Krajewski, curatore del WRO Art Center di Breslavia, offre un
video-resoconto dettagliato della transizione artistica e culturale di un paese
passato nel giro di un decennio dalla legge marziale alla democrazia. È tempo
di fare un bilancio di questa transizione.
In questo contesto, l’allusione ha
rappresentato un metodo efficace strada per criticare il potere lontano dai
riflettori dell’arte di stato promossa dai circoli artistici ufficiali, e del
più tollerante circuito parrocchiale teso a promuovere il contenuto a scapito
della forma. L’opera in bianco e nero di Róbakowski, Video is Power (1984), è esemplare di questa
strategia narrativa: l’artista si è filmato con camera fissa a torso nudo in
posa ufficiale, impugnando ogni volta un oggetto diverso (un trapano, una sega,
un detersivo). Articoli di uso quotidiano accostati al corpo parodico del
potere, per irridere senza far nomi la retorica gestuale dell’autoritarismo.
Altri artisti hanno preferito
rispondere alla mancata libertà d’espressione con performance private,
rigorosamente amatoriali. Sembra quasi che gli artisti si siano auto-confinati
agli arresti domiciliari soltanto per saggiare e mostrare i lividi della
repressione sul proprio corpo. Ecco allora i giochi goffi, o più precisamente
le acrobazie giocose del gruppo Lódz Kaliski, le testate di Wojciech Zamiara e i Liberating Exercises (1987) di Marek Janiak, che cerca di restare in
equilibrio su una sedia pieghevole destinata irrimediabilmente a chiudersi. Una
vera e propria ginnastica dell’assurdo che ricorda alcuni esperimenti corporei
eseguiti da Bruce Nauman alla fine degli anni ‘60.
Quando il proprio corpo non sembra
bastare, si possono sempre manipolare gli oggetti. Se Janiak si accontenta di
impilare senza successo due bocce, nel più recente e pericoloso Walk or
Drive (1994-95) Igor
Krenz propone
alcuni saggi audaci di bricolage alla Fischli & Weiss: un congegno di leve e contrappesi
calibrato per rompere con un colpo di martello una lampadina e, ancora, una più
pericolosa fionda
per coltelli testata in prima persona. I relitti di questa performance sono gli
unici oggetti di scena esposti in un spazio dominato da oltre venti schermi che
ripropongono in loop un “best of” della video arte polacca a cavallo
tra gli anni ‘80 e ‘90.
Sorprende vedere come alcuni
artisti forzatamente isolati dal resto del mondo dell’arte abbiano avuto
l’intuizione di citare con alcuni anni di ritardo alcuni capisaldi
internazionali dell’ultimo trentennio. In Continuity of Infinity (1988), Zygmunt Rytka s’impegna a numerare con un
pennarello una quantità indefinita di ciottoli trovati sul bordo di un fiume,
in perfetto stile Land Art. In Runner (1993), Piotr Wyrzykowski sovrappone alcune tremolanti
tracce video per raccontare di profilo la sua corsa cittadina, veloce e
frenetica come un videogioco bidimensionale: un lavoro che sarebbe sicuramente
piaciuto al guru polacco del cinema sperimentale, Zbigniew Rybczysńki.
L’esistenza di un linea realistica
nella produzione video locale è testimoniata dai lavori di taglio più
sociologico del collettivo Wspólnota Leeezeć. Nell’happening Lyying Dead or
Testing The Miracle Theory (1990), alcuni esponenti del gruppo si sono stesi a terra coperti da
un lenzuolo bianco, mettendo in scena la propria morte, per testare e filmare
le reazioni dei passantisul viale principale di Lódz. Colpiscono come un
pugno in faccia le riprese dal vivo di Piotr Bikont, che monta insieme immagini di
repertorio della televisione di stato, con le riprese dal vivo di alcune
proteste studentesche locali di poco precedenti alla caduta del muro di
Berlino.
Una mostra densa ed esauriente, che ha il pregio di
raccontare il dilemma fecondo degli artisti polacchi negli ‘80, costretti a
decidere fra l’urgenza di raccontare la realtà e l’esigenza formale di
sintonizzarsi con le ultime linee di ricerca dell’arte prodotta a Ovest del
muro.
giuseppe sedia
mostra visitata il 9 gennaio 2010
dal 9 dicembre 2009 al 14
febbraio 2010
The Hidden Decade: Polish Videoart 1985-1995
a cura di Piotr Krajewski
Bunkier Sztuki
Pl. Szczepanski, 3a – 30011 Cracovia
Orario: tutti i giorni ore 11-18; giovedì ore 11-20
Ingresso: intero 6 zl; ridotto 3 zl
Catalogo disponibile
Info: tel. +48 0124221052; fax +48 0124228303; bunkier@bunkier.art.pl; www.bunkier.art.pl
[exibart]