Una mostra che privilegia in gran parte l’arte profana,
figurativa, multi-culturale. Il crogiuolo di etnie e tradizioni che ha composto
la cultura islamica ha infatti permesso alla stessa di mantenersi nei secoli
particolarmente vivace e dinamica. Lo dimostra il percorso della mostra, diviso
in tre parti: arte e religione, arte e mecenariato, arte e vita quotidiana.
La rassegna copre un perimetro fisico, temporale e
concettuale che si fatica anche solo a immaginare. Dal 600 circa fino al 1800,
sono moltissime le popolazioni venute a contatto con la religione islamica,
dalla Spagna alla Persia, dalla Turchia alla Cina. Possiamo però abbozzare, a
partire da tale prospettiva, i limiti del nostro modo di pensare le arti, per
tre punti almeno.
Primo: l’irrapresentabilità figurativa è da sempre al
centro dei dibattiti sull’arte islamica. Ma, nella mostra, animali e bestie
immaginarie decorano fontane e lavamani. F
igure antropomorfe impreziosiscono
arazzi e scrigni cesellati d’oro. In effetti, il carattere di tali
rappresentazioni resta vagamente infantile, privo di prospettiva e dimensioni
tridimensionali; i corpi sono stilizzati, lineiformi.
Ma è proprio facendo così, evitando il naturalismo, che
l’arte islamica può rappresentare senza che l’artista sia tacciato di voler
imitare Dio nel creare o ricreare la vita, senza sfociare nell’idolatria. Solo
i luoghi sacri non ammettono raffigurazioni umane, benché la religione resti
ambito di grande produzione artistica. I dipinti che raffigurano la Mecca
ribaltano qualsiasi principio di prospettiva, in modo che tutti i tetti delle
case puntino simbolicamente verso la Ka’ba, la “casa di Dio”.
Il secondo punto riguarda la nostra idea della cultura
come qualcosa di definito, più o meno statico e ricostruibile. Non è questo il
caso dell’arte islamica, anche a causa di un diverso concetto dell’artista, che
resta anonimo esecutore dell’opera: non ci sono quindi grandi nomi né
capolavori. Ciò può dare un’impressione d’incompletezza, quando è invece la
possibilità di ricostruzione a esser limitata. Una buona parte delle meraviglie
del mondo islamico sono infatti sparite tra guerre e migrazioni, o assorbite da
altre tradizioni.
Il terzo punto, infine, concerne la nostra idea di un’arte
forzatamente de-funzionalizzata e raffigurativa. La mostra presenta invece
oggetti di rara bellezza che fanno parte della vita quotidiana. Gli artisti
musulmani hanno sempre cercato, tramite il perfezionamento delle forme,
l’accordo dei colori, la giustapposizione dei metalli preziosi, di evocare la
perfezione celeste. Così, nella terza sezione della mostra sono gli oggetti
quotidiani a essere esposti come pregiati suppellettili artistici.
Spargi-profumo e lampade a olio del XII secolo, vasi e giare siriane in
ceramica, collier delle Indie del Sud ricordano a chi li usa i piaceri che li
attendono nell’aldilà.
Un sacro che quindi non ha mai annientato il profano, ma
anzi lo impreziosisce, dando vita a un’arte che non deve staccarsi dal presente
e dalla quotidianità, e nemmeno allontanarsi dall’uso, dalla manualità, per
potersi elevare.