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23
luglio 2008
Alla base di Cycles and Seasons vi è l’idea di narrare la lunghissima carriera di Cy Twombly (Lexington, 1928; vive a Roma) attraverso distinti stadi stilistici: letteralmente, cicli. Tale scelta curatoriale enfatizza l’enorme varietà formale nell’opera del pittore americano, che troppo spesso si tende a considerare monotematica.
La mostra apre sui primi lavori di un giovane Twombly, costretto a fare i conti con l’ingombrante presenza dell’Abstract Expressionism a lui coevo. In Criticism e in Academy (entrambi del 1955), dipinti eseguiti al buio secondo una casualità di matrice surrealista, si può leggere sia il riferimento a un all-over painting pollockiano, sia un tentativo di ironica sovversione dello stesso.
Nel ‘57 Twombly si trasferisce a Roma, scelta fondamentale per comprendere la sua successiva passione per l’antichità classica, che diventa riferimento formale e tematico. Scaturiscono da essa l’interesse per la mitologia, per il rito, per la poesia. Ma è soprattutto la luce del Mediterraneo a lasciare una traccia sul pittore statunitense, che si esprime con David Sylvester in questi termini: “The Mediterranean is always just white, white, white”. Il bianco diventa un ingrediente basilare nelle composizioni di Twombly: è un bianco denso, fitto di tracce indecifrabili come testimonianze storiche di un passato lontano.
Dagli anni ’60 le composizioni si fanno sature di colore e attestano un gesto più violento; i quadri sembrano farsi residui di primordiali pratiche rituali, come nella serie Ferragosto (1961), in cui la festività è intesa, nella sua accezione latina, come celebrazione di fertilità e maturità. Iniziano a disporsi sulla tela anche numeri, grafici e parole: il titolo dell’opera è spesso compreso all’interno della stessa, conferendogli una componente emblematica; oppure sono interi brani poetici a essere inclusi.
La coesistenza di un piano estetico-percettivo e di un piano denotativo -ovvero fatto di segni e linguaggi più o meno decifrabili- diviene un carattere primario dello stile di Twombly: la sua opera lavora sempre sulla non-separabilità dei due livelli. Tuttavia, ci sono periodi in cui il piano della denotazione prende il sopravvento, come nella serie prodotta presso il lago di Bolsena nel 1969, irta di grafici e di numeri. O come nelle due versioni del gigantesco Treatise on the Veil (1970), nel quale Twombly sembra pagare il suo tributo alla coeva estetica minimalista.
In mostra vi sono anche sculture, di solito assemblage di oggetti quotidiani ricoperti con vernice bianca, simili a reperti archeologici. Per la prima volta, inoltre, sono esposte insieme le due serie sulle Quattro Stagioni (1993-95), in cui ciascuna stagione è associata a uno stadio della vita.
Chiudono la rassegna quattro gigantesche tele dalla serie Bacchus (2005), ispirate alla divinità greca. La pennellata vermiglia sembra guidata da un impulso estatico, ma al contempo condivide le fattezze del movimento casuale che caratterizzava i primi lavori dell’artista.
La mostra apre sui primi lavori di un giovane Twombly, costretto a fare i conti con l’ingombrante presenza dell’Abstract Expressionism a lui coevo. In Criticism e in Academy (entrambi del 1955), dipinti eseguiti al buio secondo una casualità di matrice surrealista, si può leggere sia il riferimento a un all-over painting pollockiano, sia un tentativo di ironica sovversione dello stesso.
Nel ‘57 Twombly si trasferisce a Roma, scelta fondamentale per comprendere la sua successiva passione per l’antichità classica, che diventa riferimento formale e tematico. Scaturiscono da essa l’interesse per la mitologia, per il rito, per la poesia. Ma è soprattutto la luce del Mediterraneo a lasciare una traccia sul pittore statunitense, che si esprime con David Sylvester in questi termini: “The Mediterranean is always just white, white, white”. Il bianco diventa un ingrediente basilare nelle composizioni di Twombly: è un bianco denso, fitto di tracce indecifrabili come testimonianze storiche di un passato lontano.
Dagli anni ’60 le composizioni si fanno sature di colore e attestano un gesto più violento; i quadri sembrano farsi residui di primordiali pratiche rituali, come nella serie Ferragosto (1961), in cui la festività è intesa, nella sua accezione latina, come celebrazione di fertilità e maturità. Iniziano a disporsi sulla tela anche numeri, grafici e parole: il titolo dell’opera è spesso compreso all’interno della stessa, conferendogli una componente emblematica; oppure sono interi brani poetici a essere inclusi.
La coesistenza di un piano estetico-percettivo e di un piano denotativo -ovvero fatto di segni e linguaggi più o meno decifrabili- diviene un carattere primario dello stile di Twombly: la sua opera lavora sempre sulla non-separabilità dei due livelli. Tuttavia, ci sono periodi in cui il piano della denotazione prende il sopravvento, come nella serie prodotta presso il lago di Bolsena nel 1969, irta di grafici e di numeri. O come nelle due versioni del gigantesco Treatise on the Veil (1970), nel quale Twombly sembra pagare il suo tributo alla coeva estetica minimalista.
In mostra vi sono anche sculture, di solito assemblage di oggetti quotidiani ricoperti con vernice bianca, simili a reperti archeologici. Per la prima volta, inoltre, sono esposte insieme le due serie sulle Quattro Stagioni (1993-95), in cui ciascuna stagione è associata a uno stadio della vita.
Chiudono la rassegna quattro gigantesche tele dalla serie Bacchus (2005), ispirate alla divinità greca. La pennellata vermiglia sembra guidata da un impulso estatico, ma al contempo condivide le fattezze del movimento casuale che caratterizzava i primi lavori dell’artista.
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mostra visitata il 20 giugno 2008
dal 19 giugno al 14 settembre 2008
Cy Twombly – Cycles and Seasons
a cura di Nicholas Serota e Nicholas Cullinan
Tate Modern
Bankside – SE1 9TG London
Orario: da domenica a giovedì ore 10-18; venerdì e sabato ore 10-22
Ingresso: intero £ 10; ridotto £ 9/8
Catalogo Tate Publishing, £ 24,99
Info: +44 02078878888; visiting.modern@tate.org.uk; www.tate.org.uk/modern
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