Il fulcro del Mamco a Ginevra funziona piuttosto bene e la zona circostante si arricchisce sempre più di gallerie. L’AP4-ART di Achille Piotti s’instrada in questa scia e inaugura con una personale di Maura Banfo (Torino, 1969) curata da Boris Magrini.
Il lavoro della torinese non è affatto di agevole lettura. La prima impressione è che vi sia una discontinuità nel suo lavoro. Ma si tratta d’una lettura intimamente fraintesa. La ricerca di Banfo non procede mediocremente, in senso etimologico, a periodi o fasi. Non si produce in una navigazione costantemente corretta, secondo l’adagio di un’etica piccolo-borghese della norma. Per quanto le concerne, il discorso è opposto, dunque doppio: da un lato v’è una ricerca che si distende sin dall’inizio della sua pratica artistica, dall’altro v’è una specificità che coinvolge inesorabilmente ogni singola opera o ciclo. Il suo è un percorso che può essere colto in ogni singola manifestazione e al contempo può essere rintracciato sul filo degli anni.
Il secondo punto che preme per una lettura attenta del lavoro di Banfo è la sua collocazione fra strutturalismo e vitalismo. Una posizione che non intende conciliare, ma che fa zampillare ogni “opera”, nella coerenza di un continuo corpo a corpo con la materia del dissidio. Da un lato, l’esigenza di confrontarsi con la struttura portante di ogni soggetto (il che non significa che si tratti del suo fondamento; nel caso di Bill clattering (2004), si tratta del becco delle cicogne e dei loro occhi); si individua un fulcro, una cheville che orchestra l’intera figura e che Banfo talvolta isola, tal altra mette impercettibilmente a fuoco (la scintilla fugace ne La vestizione, 2003). Dall’altra parte v’è un sentire vitalista. Perché Banfo coglie soprattutto l’elemento metodico dello strutturalismo, coniugandolo con uno slancio vitale che ricorda Henri Bergson.
Per comprendere questo connubio, a prima vista paradossale, è sufficiente osservare il trattamento architettonico del corpo delle cicogne e all’opposto il trattamento organico del torinese Palazzo Vela nei disegni a esso ispirati (Segni-d-segni, 2003).
In chiusura, qualche parola per il video Round trip (2004), proiettato al piano inferiore della galleria. Si tratta della seconda prova di Maura Banfo, dopo Seventeen (2003). Qui il gioco degli opposti e dello stridore fra le antinomie, evidentemente e ancora una volta, non viene pacificato. Lo dimostra il silenzio. Lo dimostra l’ossessività che necessita di pochi minuti per invadere lo spettatore. Lo dimostra l’impercettibilità con la quale la rotazione s’inverte. Pur calando come un martello. Un lavoro che non ha nulla di amatoriale e che fa ben sperare in un ulteriore ampliamento degli orizzonti di Maura Banfo, a contatto con i medium più diversi e le tematiche più intimamente universali.
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marco enrico giacomelli
mostra visitata il 7 luglio 2004
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...come alcuni commenti...
... La ricerca di Banfo non procede mediocremente, in senso etimologico, a periodi o fasi. Non si produce in una navigazione costantemente corretta, secondo l’adagio di un’etica piccolo-borghese della norma
Anche in questo caso tante belle parole, ma un lavoro francamente inutile.
caro nameless,
gli articoli vengono riletti, te lo assicuro.
quanto alla poca chiarezza, terrò conto della tua critica, cercando di migliorare.
quanto infine alla ricezione da parte dell'artista in causa, puoi domandarle direttamente cosa ne pensa, è una pratica più diretta.
sono comunque lieto che, aldilà delle contnue critiche rivolte ad exibart, continui a leggerlo con tanta assiduità
;)
Ma li rileggete i testi che scrivete prima di metterli in linea?! Ma vi rendete conto della noia mortale che si prova a leggere simili evoluzioni verbali?! All'artista non fate nessun servizio scrivendo in un modo esclusivamente narcisistico e criptico. Non sembra parliate del lavoro in questione quanto piuttosto della "bella forma" della vostra scrittura accademica. Sapete che impressione si ha leggendo testi come questi? Che li scriviate pensando ai vostri colleghi, come aveste il timore di un confronto, di essere giudicati da altri critici altrettanto incapaci di comunicare con obiettività ed essenzialità un pensiero. Non se ne puo' piu' di questa critica d'arte sterile ed insignificante.
cari amici la banfo un e' bona a una sega o forse si................