Fotografa cresciuta artisticamente alla “scuola di Düsseldorf” di
Hilla e Bernd Becher, lavorando al fianco di personaggi dello spessore di
Thomas Ruff,
Andreas Gursky e
Thomas Struth,
Candida Höfer (Eberswalde, 1944; vive a Colonia) presenta parte dei suoi più importanti lavori da Johnen a Berlino.
Da oltre trent’anni l’artista fotografa con ferma tenacia spazi pubblici, luoghi d’incontro e riunione dove conoscenza e cultura sono prodotti e preservati. Nelle sue foto, musei, teatri, cinematografi, castelli, archivi e librerie trasmettono, in simbiosi con il loro disegno architettonico, dense sensazioni di memoria. Testimonianze storiche conservate come relitti di tempi passati, che svelano un profondo impatto con l’odierno e ampliano la nostra percezione del presente. L’interesse verso librerie e archivi riflette il puro intento dell’artista, ma anche musei, castelli e altri edifici storici sono spazi che vivono in un tempo non proprio, enclavi temporali disconnesse che mostrano tracce di ere desuete.
Nell’estate del 2004, Höfer fotografò la famosa hall della storica libreria della duchessa Anna Amalia a Weimar, opera intitolata
Herzogin Anna Amalia Bibliothek Weimar XII, 2004 e presente nella piccola personale dedicatale dalla Johnen Galerie, poche settimane prima che un devastante incendio la distruggesse interamente. Ciò che è ben visibile nei suoi scatti è l’unione dei tratti documentaristici e rappresentativi dell’oggetto, la cui aurea è letteralmente catturata grazie allo status visivo dell’ambiente: vuoti assoluti e luminosi che oscillano tra l’inventario e la raffigurazione, tra il concetto e l’utilizzo pratico.
L’uomo, mai così attivo nella sua assenza, rimane uno dei protagonisti della ricerca antropologica di Höfer in quanto artefice e abitante primo di spazi, luoghi e ambienti che rivelano indizi sulla sua presenza ed entità, del suo vivere sociale e politico. Ogni immagine è caratterizzata da una maniacale precisione compositiva nella quale sono disposti spazi e volumi, ritratti da una stretta prospettiva centrale, con luci naturali e artificiali in cui il dettaglio, unico e individuale in ogni sede, viene enfatizzato con assoluta accuratezza.
Da “archeologa del presente”, Candida Höfer ci chiede di disincarnare il nostro sguardo, di osservare con gli occhi di quando non ci saremo più e resteranno solo le strutture, tirate a lucido ma ancora vibranti dei cervelli che le hanno attraversate, grazie a una macchina, quella fotografica, divenuta macchina del tempo.
Luoghi che esistono per un istante mutano in memoria, allucinazioni di panorami culturali lontani si frappongono tra l’opera e il fruitore come porte temporali, mostrandoci un’oggettività non sempre sincera o, meglio, disgiunta. Del resto, la fotografia non mostra mai la realtà, ma una possibile variabile della nostra percezione.