L’artista potrebbe costruire il lavoro, il lavoro potrebbe essere fabbricato, il lavoro non ha bisogno di essere costruito. Con questa dichiarazione d’intenti, nel 1969
Lawrence Weiner (New York, 1942; vive a New York e Amsterdam) dichiarava la propria appartenenza al concettuale, la vicinanza alle ricerche di artisti come
Sol LeWitt e, ancor più,
Joseph Kosuth, col quale condivide la ricerca sul linguaggio, sulle potenzialità infinite della lingua che, a detta dello stesso Weiner, sono di gran lunga superiori a quelle dell’azione “reale”.
Per l’artista, il linguaggio costituisce un potente mezzo d’azione, anzi è “
espressione in potenza dell’azione”. Ciò significa che gesti che sarebbero perfettamente eseguibili vengono sospesi a metà strada attraverso la formulazione linguistica, fra il potenziale e il suo accadere. A influenzare la predilizione per la forma linguistica sono sicuramente le ricerche di Wittgenstein, la cui lettura e interpretazione fanno sì che nell’opera di Weiner il linguaggio diventi modalità espressiva per eccellenza.
La mostra alla Lisson è un appuntamento importante per chi vuole conoscere l’esperienza di un artista che, attraverso frasi enigmatiche, ha rappresentato un diverso modo di fare e pensare l’arte.
Offsides, titolo del lavoro in mostra, esprime la volontà di andare “
a bit beyond what is designated as the pale, come compeggia sulla parete all’entrata della galleria. Andare oltre ogni banale significato, oltre la superficie, in un gioco di parole che nasconde verità profonde o che, forse, instilla dubbi nelle certezze del nostro vivere e percepire il mondo.
La mostra coinvolge lo spettatore in un gioco di sensi e controsensi che rimangono irrisolti, ma che ognuno può assumere come punto di partenza per immaginare azioni che si ripeteranno all’infinito, fino a quando le parole rimarranno scritte sulla parete. Si tratta di un intervento sullo spazio che investe lo spettatore senza chiedergli troppo.
In fondo, il rapporto che l’artista ricerca è puramente mentale, vive nell’immaginazione di chi lo sa percepire. Il lavoro è come impercettibile eppure invadente, è presente ma non costringe a soffermarsi; invita, semmai, a riconsiderare l’influenza che il linguaggio esercita sulle nostre vite.
Un lavoro che affascina per il suo ermetismo linguistico, ma soprattutto per il coinvolgimento spaziale e per la natura effimera di un intervento che si pone come prerogativa quella di rimanere impresso nella mente, ma di scomparire dalle pareti della galleria. Senza lasciare alcuna traccia visibile.
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il povero Wittgenstein si starà rivoltando nella tomba per le sciocchezze che questo grullo continua a scrivere sui muri:
i commenti ,ironici, li faremmo volentieri ad alta voce ma in effetti credo si rimarrebbe davvero senza parole se potessimo davvero sentire il direttore della galleria parlarci dell'importanza del profondo messaggio di Ludwig sulla profonda arte di Lawrence: