Per occhi sempre alla ricerca di effetti sorprendenti, per occhi votati al concettuale sì, ma nella sua matrice ironico-satirica o nell’accezione straniante autoreferenziale, le proposte di
Lothar Baumgarten (Rheinsberg, 1944) per il Macba potrebbero risultare noiose.
Nelle sale bianche e sobrie del museo catalano, precisamente in quelle al primo piano dedicate alle mostre temporanee, le innumerevoli fotografie dell’artista tedesco hanno un imponente impatto installativo. La quantità delle immagini e il loro allestimento rigoroso ad altezza occhi, una dopo l’altra, sempre uguali e sempre diverse, enfatizzano la loro valenza d’insieme, come pezzi di una sola raccolta,
in fieri, lunga e continuativa. Una schedatura del reale eseguita da un occhio, quello dell’artista, che si comporta come l’autoscatto della macchina fotografica (per questo, forse, il titolo
Autofocus retina), si ripete differente a intervalli precisi, ponendo un accento marcato, seppur celato a prima vista, sul fattore tempo.
Ma non è il Baumgarten fotografo che stupisce. Non tanto perché non sia interessante la sua ricerca, quanto perché è stata lungamente e ampiamente sviscerata questa sua attitudine. Che cosa si scopre allora a Barcellona? Un Baumgarten “allestitivo”, con una notevole propensione all’intervento ambientale, riflessivo come sempre, ma passato dalle infinite ipotesi a una probabile tesi. Un intervento di valore architettonico che s’incunea nel trasparente biancore della facciata del museo, trasformando il parallelepipedo vitreo centrale in un immenso prisma di rifrazione della luce.
Facendo lo slalom tra i numerosi skater presenti proprio nell’area d’ingresso, si notano degli spicchi colorati, applicati alle vetrate, che emulano la scomposizione del fascio luminoso attraverso il prisma. L’interno è puntellato di specchi che amplificano la sensazione retinica e creano un collegamento diretto con l’installazione per lo spazio della
Capella. Nel luogo non più sacro, ma ricco di una misticità tutta derivata dalla casta e sinistra atmosfera gotica, l’artista tedesco architetta una revisione della percezione.
Le pale dei grandi protagonisti del Quattrocento nostrano vanno a braccetto con l’estetica minimalista, riedite come composizioni elegantissime di forme circolari. Nelle circonferenze sono contenuti i colori tipici di pittori culto dell’epoca come
Masaccio o
Ghirlandaio, e allo stesso tempo alternati da specchi che tentano di captare riflessi e ombre dalle bifore poste a distanti altezze. E ancora l’illusione (svelata) del tremolio di fiamma di alcune candele, o la proiezione concettuale e destabilizzante di tratti di roccia sulle mura di pietra viva della chiesa stessa.
Una orchestrata
mise en scène che indaga le tecniche dell’arte stessa senza piegarsi a una mera auto-analisi, ma spingendosi a tratti verso un lirismo poetico.