L’antologica di Franca Ghitti (1932-2012) è la prima mostra che le viene dedicata in Svizzera. Si tratta di una sessantina di opere, esposte al Museo di Mendrisio che rappresentano le principali fasi della evoluzione creativa della scultrice, nata in Val Camonica e sempre molto attenta alle testimonianze della cultura camuna. La mostra è stata curata da Barbara Paltenghi Malacrida, per la scelta di allestimento, ed Elena Pontiggia, che ha curato il catalogo, con il contributo della Fondazione Archivio Franca Ghitti di Cellatica, presieduta da Maria Luisa Ardizzone.
Il rapporto con la materia della scultrice bresciana, il legno in particolare, le deriva dal fatto che da bambina giocava nella segheria del padre. “Era un bellissimo gioco, assistere al lavoro dei segantini”. E si appassiona da subito ai lavori di intarsio e intaglio, riconoscendo il valore della tradizione artigianale. Nelle sue prime esperienze artistiche comincia a sviluppare anche l’interesse per il riciclo. Ecco un’altra sua annotazione sul “quaderno di lavoro”: “Nei primi anni Cinquanta ho iniziato a piantare chiodi su tavolette scartate. Chiodi che prendevo dagli avanzi della lavorazione di bancali o casse da imballaggio…”
Allo stesso tempo, nasce in lei l’interesse per l’arte paleolitica e neolitica e nei suoi studi a Parigi sulla scultura dei popoli africani e oceanici ritrova qualcosa che le ricorda le iscrizioni rupestri presenti nella Val Camonica. Queste forme primitive di espressione l’affascinano. Il processo di stilizzazione che sta alla loro origine ne svela il significato profondo che va recuperato e Franca, nel rapporto con l’archeologia moderna, è portata a riscoprire anche l’importanza di certi lavori artigianali locali e delle storie del passato, tramandate oralmente. Negli anni Sessanta, lavora molto su queste ricerche che fanno riferimento a figure arcaiche, riti apotropaici, cerimonie, usanze sacre, ecc.
Da non dimenticare, l’esperienza – maturata dalla Ghitti nei due anni trascorsi in Kenia – che ritroveremo in modo evidente nei suoi lavori. In questo periodo, conosce a fondo l’etnia Kikuyu e accumula conoscenze importanti attraverso il contatto con molte culture tribali, lavorando anche su alfabeti e segni lasciati dalle diverse comunità. Il suo obiettivo è il recupero, insieme agli scarti della produzione, anche di quei brandelli di storia dimenticata e mai raccontata, che lei cerca di riportare alla luce, ridandone un senso.
La mostra, che si sviluppa all’interno delle sale del Museo e nel cortile all’ingresso, raggruppa le opere secondo diversi temi: le Mappe, dove l’Artista immagina di recuperare una memoria topografica senza alcun riferimento reale, quasi cartografie dell’impossibile, incapaci di orientare, simbolo forse del nostro viaggio nella vita, compiuto senza una bussola; le Vicinie, piccole figure stilizzate e raggruppate, che recuperano antropologicamente una usanza dell’epoca delle invasioni barbariche, quando le persone per difendersi si consociavano, aiutandosi l’un l’altra; i Tondi, che hanno una forma circolare in quanto ispirati dal fondo delle botti in Francia Corta; le Edicole e le Madie, piccole case nelle quali si costudiscono oggetti poveri, realizzati artigianalmente, legati alla comunità e il Bosco, nel quale sono disposti 12 alberi, tronchi scartati dalla lavorazione della segheria e lavorati per ridar loro una dignità artistica. Questa sua attenzione alla verticalità le deriva sia dalle opere di Brancusi, che ammirava, che dal suo viaggio in Canada, dove restò affascinata dai grattacieli.
Da segnalare, in queste ultime opere anche la moderna idea della Ghitti di creazione e utilizzo dello spazio espositivo, grazie alla quale le sculture occupano in modo dinamico l’ambiente, diventano vere e proprie installazioni che preludono alle opere in ferro (tra le quali Alberi vela, Meridiane, Pioggia, la Cascata) anch’esse provenienti da materiali di sfrido, cioè scarti di lavorazione, ai quali l’Artista offre una opportunità di riscatto, con processi di fusione e lavorazione. Queste opere, nella loro incessante iterazione e nella fitta trama piena di barbagli di luce (Pioggia, Cascata soprattutto) sembrano evocare, il ritmo lento e cadenzato dell’acqua che cade, il cui peso per la scultrice è leggerezza.
Franca Ghitti ha anche collaborato con l’editore d’arte Vanni Scheiwiller, realizzando incisioni tirate a mano con il torchio, per le illustrazioni di libri di vari autori, tra i quali Italo Calvino e Andrea Zanzotto. Anche di questa esperienza si possono ammirare in una sezione a fine mostra alcuni interessanti esemplari.
Chi visiterà la mostra di Franca Ghitti potrà anche apprezzare le opere della collezione Bolzani, intitolata “Natura e Uomo”. Si tratta di 70 lavori tra dipinti, sculture e opere su carta – donate al Museo dai figli di Nene e Luciano Bolzani – di artisti importanti come Giorgio Morandi, Lorenzo Viani, Mario Sironi, Renato Guttuso, Bruno Cassinari, Ennio Morlotti Edmondo Dobrzanscki e altri. Il periodo dei lavori riguarda il dopoguerra, decenni in cui l’Italia, dopo il ventennio fascista, sull’esempio di francesi e americani, cercava di aggiornarsi e il polo di attrazione più forte era proprio la città di Milano. Era la stagione dell’astrattismo lirico o di un realismo rivisitato alla luce del cubismo e dell’espressionismo, molto fertile di spunti e di idee.
Ugo Perugini
Mostra visitata il 13 aprile 2018
Dal 15 aprile al 15 luglio
Franca Ghitti scultrice
Museo d’arte di Mendrisio
Piazzetta dei Serviti 1
Mendrisio
Orario: dal martedì al venerdì: 10,00-12,00 14,00-17,00 sabato e domenica 10,00-18,00