In questi mesi autunnali, due sono le possibilità
d’imbattersi nell’opera di
Ugo Rondinone (Brunnen, 1964; vive a New York) nella capitale francese.
Situate rispettivamente nel cuore
turistico della città, i Giardini delle Tuileries, e al 104, ovvero il grande
spazio delle ex-pompe funebri municipali del periferico XIX arrondissement, le
installazioni dell’artista svizzero si trovano entrambe in luoghi di passaggio.
Con i suoi 39mila mq di superficie, il 104 ospita
l’installazione
How does it feel? in una delle ampie hall di passaggio che collegano i due
accessi al centro. La vocazione all’incontro con un pubblico variegato “
di
curiosi e passanti”
è affermata fra i punti fondamentali dello statuto del 104, abitato sia da
artisti e designer (e conseguente pubblico) che affittano dallo stato i propri
studi, sia da famiglie multietniche che deambulano nelle zone
libre accès verso i servizi socio-culturali
offerti dall’istituzione.
How does it feel è un’opera effimera, che rientra in quella trentina di
progetti artistici programmati dal 104 e commissionata dal Ministero della
cultura e della comunicazione insieme al Centre national des arts plastiques,
in co-produzione con il
Festival d’Automne e lo stesso 104. “
Al tempo stesso monumentale e
intima”, l’opera
“
è pensata
come un dispositivo che consenta di mettersi in disparte dal mondo e quindi di
lasciar spazio agli accadimenti mentali”:
il curatore dell’installazione Jean-Marc Prévost ne
suggerisce un’esegesi che pare allontanarsi dalla missione del 104 appena citata.
Architettura minimalista,
How does it feel? si presenta innanzitutto come un
blocco formato da muri disegnati a mattone. Occorre percorrerne il perimetro
più volte per scoprire che si tratta di un ambiente abitabile, da penetrare
attraverso un ingresso ben camuffato. Lo spazio interno è vuoto, le pareti
grigio-azzurre illuminate da luci al neon. In sottofondo si percepiscono voci:
un dialogo continuo che “
è l’unico modo per eludere il vuoto”, secondo il testo di
presentazione dell’evento.
Il salto tra il dentro e il fuori è dunque piuttosto
drastico. L’intimità conclamata fatica ad affiorare, né gli spazi mentali di
cui sopra ricevono particolari sollecitazioni. Perché quest’opera al 104?
Perché cercare la sofisticazione a tutti i costi, quando l’ambiente offre
tensioni estremamente vive, che solleticano gli “
spazi mentali” senza scomodare (come fa il curatore)
il concetto di assurdo in Samuel Beckett? Sono poche le persone in giro per la
hall che decidono di entrare nell’installazione. Nemmeno i bambini ne sono
attratti.
L’opposto accade ai giardini delle Tuileries. Luoghi
aulici a causa della loro smisuratezza, disseminati di opere d’arte che
ricordano il periodo d’oro della storia francese, a contatto con
l’installazione
Sunrise Est sembrano colorarsi di nuove energie. Qui i bambini non
risparmiano nessuna delle dodici figure: appesi a nasi, aggrappati a musi,
saltano da una statua all’altra, strapazzandole come se fossero i pupazzi di
casa.
Grandi faccioni con bocche dai sorrisi sdentati e smorfie
di vario genere,
Sunrise Est vuol essere la rappresentazione dei dodici mesi
dell’anno. Sono maschere argentate a tuttotondo, che formano un cerchio attorno
alla vasca. Non tutte le persone che qui si siedono a leggere, riposare e
osservare si accorgono di queste presenze bizzarre e ironiche.
Personaggi totemici fuori tempo, non disturbano e non sono
affatto fuori luogo. In modo discreto ma più pregnante che al 104, la presenza
dell’artista (e il suo antecedente lavoro sulla figura del clown) aleggia
leggera, ma non per questo meno profonda.