Il design è una disciplina meno nobile dell’architettura? Si può essere ottimi designer, con all’attivo contratti d’eccezione, e contemporaneamente incredibili architetti?
Ron Arad (Tel Aviv, 1951; vive a Londra) è il personaggio che fornisce la risposta: studia all’accademia artistica di Gerusalemme fino al 1970, quando decide di lasciare Israele e di trasferirsi in Inghilterra per studiare architettura, ma presto il suo interesse si catalizza sul design. Nel 1981 fonda la design agency On Off: Alessi, Cappellini, Magis, Driade, Kartell sono alcune delle case che si affidano alla sua capacità d’interpretare i materiali alla luce della più sofisticata innovazione formale.
Il Pompidou gli dedica un’ampia e completa retrospettiva in una cornice accattivante, così come lo è il titolo,
No discipline, che inquadra un temperamento sopra le righe, difficile da incasellare e imprigionare in un unico ambito artistico. Arad ci ha abituato a continue escursioni
off-shore, in un’ondeggiante esplorazione a scale variabili di eleganti allestimenti, curvilinei oggetti e avvolgenti edifici. Mai banali, mai privi di morbidezza trasparente, indiscutibilmente hi-tech. L’allestimento parigino è infatti un’opera-involucro e riesce a creare un impatto visivo inusuale; un progetto fra i progetti, che ingloba soluzioni di anni di sperimentazione e confronti.
Bandito ogni retaggio razionalista, Arad si concentra unicamente sulla suggestione della rotazione multipla, della spirale, della linea curva, che applica ovunque. Ed ecco che pareti ondulate creano fondali in cui giganti rotoli in cartone diventano originali espositori da un lato e cerchi luminosi dall’altro, in un gioco di ombre cinesi che creano sfondi senza spigoli per l’armonia delle opere che si susseguono.
Dalle poltrone realizzate nei più svariati materiali – vere e proprie sculture-oggetto che si lasciano plasmare ora in metallo, ora in ceramica o nelle più moderne resine trasparenti – ai molteplici video in cui gli omini protagonisti naufragano in virtuose e virtuali giravolte in spaziali animazioni 3d di avveniristici progetti di architettura. Fulcro dell’allestimento, un nastro a spirale che accoglie vari progetti e che ricorda l’interior design su tre livelli creato per l’Opera House di Tel Aviv.
Scale diverse, si diceva, senza ombra di dubbi o ripensamenti; una creatività all’insegna di una reale democrazia nello studio delle forme. È recente la presentazione del design di una boccetta di profumo che dovrebbe rivoluzionare il mondo dell’estetica, le cui linee ricordano lo straordinario profilo del suo Holon Design Museum, cantiere ampiamente documentato in mostra e pronto a diventare uno dei simboli della cultura in Israele, con una superficie di 31mila metri quadri e due immense aree espositive.
Uno dei materiali che lo contraddistinguono è sicuramente l’acciaio inossidabile lucidato, che Arad utilizza per inglobare oggetti della quotidianità e trasformarli in sculture, oppure per allungare bobine di metallo in morbide pappardelle – famosa quella londinese – che occupano lo spazio col preciso intento di deformarlo e renderlo più luminoso e fluttuante.
Una mostra degna d’interesse per architetti che sognano di diventare artisti e per artisti che vogliono imitare gli architetti. E questi ultimi non mancano mai.