La personale del midcareer
Jonathan Horowitz (New York, 1966) è un saggio
interessante di uno dei modi possibili per concepire un’ottima mostra.
Gli ingredienti l’artista li prende dalla vita, dalla
strada, dalla politica, raccontando allo spettatore che cosa hanno significato,
nella sua personalissima visione, gli eventi degli ultimi anni di storia
americana. E sarebbe ingenuo non dire globale. Non ci sono sconti di pena per
nessuno, né Horowitz tralascia di toccare temi scottanti e nel contempo avversi
alla sensibilità diffusa.
Aids, guerra in Iraq, consumismo, mondo delle celebrity
scorrono sotto lo sguardo, spesso indispettito, dello spettatore. Che si
ritrova a confrontarsi con una presa di posizione molto forte e a esprimere fra
sé e sé la propria opinione, concorde o sfavorevole non conta, in un braccio di
ferro eterno, dove il perpetuo oscillare del giudizio non vede risoluzione.
È per questo che l’intero congegno prende il nome di
And/Or. È il senso dell’alternativa,
della presentazione di coppie antinomiche a farla da padrona. Tuttavia una
chiave di lettura non manca mai e nemmeno al visitatore più sprovveduto potrà
sfuggire per quale delle due chance propenda l’artista.
Bandiere stelle e strisce glitterate o made in China fanno
il verso a un sentimentalismo patriottico ostentato e ricattatorio, ma anche
all’arte di un passato più o meno recente, e qui il riferimento agli encausti
di
Jasper Johns non è mai velato.
Il concetto di arbitrio fa da sottotesto anche a una delle
opere più leggere, ma per questo non meno meditate del progetto espositivo. Si
tratta di
The soul of Tammi Terrell. Il duetto fra Tammi e il collega Marvin Gaye (1967) è
contrapposto all’altrettanto celebre pantomima proposta da Susan Sarandon nel
film
Stepmom (1998). Le due scene sono perfettamente sincronizzate e si svolgono entrambe
sulle note di
Ain’t no Mountain High Enough.
Ciò che rende seducente il confronto non è solo la libertà
con cui Horowitz trae dall’immaginario pop elementi riconoscibili al grande
pubblico, cui strizza l’occhio di continuo, bensì l’inevitabile percezione
dello scorrere del tempo che passa attraverso la grana delle pellicole, gli
abiti dei rispettivi protagonisti, i contenuti e i differenti sistemi di valori
di cui si fanno portatori.
I rimandi a un immaginario nostalgico non si fa desiderare
e Horowitz spara le sue cartucce chiamando in causa icone quali
Andy Warhol, Liz Taylor, Marylin Monroe e
Michael Jackson. Non si tratta di citazioni pretestuose: sono i pezzi
essenziali del puzzle di una storia recente. Da cui non sono estromessi
Benedetto XVI, con il viso strappato a metà – dopo l’insano gesto della pop
singer Sinead O’Connor – né il ritratto ufficiale di George W. Bush, installato
al contrario, come una clessidra che ha esalato l’ultimo granello di sabbia, né
tantomeno ancora Barack Obama, unico volto dalle fattezze reali, seguito da una
carrellata di presidenti ritratti a pittura.
Pezzo forte è, infine,
Untitled (Operation Iraqi
Freedom), un
gioco di lenti che fa intravedere in trasparenza, fra le pieghe di una bandiera
al vento, un corpo umano dilaniato dalla violenza. Lo scarto iconografico tra
le due immagini è agghiacciante; lascia trapelare la scoraggiante verità di un
sistema globale che si regge sulla politica del “due pesi e due misure”.
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Horowitz a Benevento santa nastro
mostra visitata il 10 agosto 2009
dal 22 febbraio
al 16 settembre 2009
Jonathan
Horowitz – And/Or
a cura di Klaus
Biesenbach
P.S.1 Contemporary Art Center22-25
Jackson Avenue at 46th Avenue (Long Island – Queens) – 11101 New York
Orario: da giovedì a lunedì ore 12-18
Ingresso:
intero $ 5; ridotto $ 2
Info:
+1 7187842084; fax +1 7184829454; mail@ps1.org;
www.ps1.org [exibart]