Il Mamac ospita la prima grande antologica francese di Pier Paolo Calzolari (Bologna, 1943) dopo quella al parigino Jeu de Paume nel 1994, presentando una trentina di sculture e installazioni. Calzolari ha sviluppato e donato per l’occasione un progetto al museo: quest’ultimo aprirà presto una sala dedicata all’arte povera, ha acquistato Letto etrusco (2003) ed esposto altre opere recenti come la minimale Colonna (2001) in ferro alta 4,50 metri.
Pier Paolo Calzolari, dunque: cresciuto artisticamente a Venezia, inizialmente pittore, dal 1966 “azionista” con la serie Atti di passione. Fra il 1967 e il 1970 il suo stile matura e nel 1969 partecipa alla “storica” collettiva organizzata da Harald Szeeman When Attitudes Become Form (Kunsthalle di Berna). Di questa prima fase, al
La vicenda di Calzolari è notoriamente legata all’Arte Povera – e ai suoi “debiti” nei confronti del concettualismo e del minimalismo Usa, senza dimenticare Joseph Beuys – ma ciò non significa che si possa parlare di “scuola”. Nel caso del bolognese, spiccano originalmente la saturazione sensistica e la reificazione dell’astratto (un materialismo privo di remore moralistiche), il rapporto vita-morte e il trattamento poetico dei materiali. Infine, vera e propria manìa di Calzolari: il tempo o, meglio, il divenire, una tematica ricorrente che si esplicita nell’interazione fra materiali effimeri e permanenti, resi malleabili.
L’attenzione nei confronti dello spettatore è un refrain che l’artista ripropone da sempre: un coinvolgimento che concerne tutti i sensi, combattendo il privilegio del visivo e portando il visitatore a “dinamizzare lo spazio”. Un obiettivo sinestetico molto francese, memore del Diderot della Lettre sur les aveugles, ma che allo stato dei fatti
Un cenno, per concludere, al fantastico Senza titolo (1975). Una struttura in esile metallo alta quasi 5 metri, rotaie che corrono in forma elicoidale ospitando il viaggio di un trenino. Posato a terra, sotto la struttura in metallo, un fornelletto elettrico riscalda l’acqua contenuta in una pentola d’alluminio. Dietro la struttura, 24 fogli disposti in file di 6 sono appesi alla parete: al centro di ognuno, una lampada a olio lascia segni di fuliggine sul candore della carta. Una continua sensazione di pericolo: che i fogli prendano fuoco, che l’acqua evapori facendo bruciare la pentola, che il trenino concluda rovinosamente la sua corsa.
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