Nel 1815 la nave inglese HMS giunge nell’isola di
Sant’Elena con un carico più che prezioso: imperiale. Di lì a cinque anni, in
esilio, Napoleone vi avrebbe terminato i suoi giorni, lasciando ipotesi aperte
sulla propria morte. Interpretazioni nate da complotti e omissioni.
La figura dell’imperatore è sfuggente quanto quella di
Theodore John Kaczynski, ex matematico all’Università di Berkeley, meglio
conosciuto come Unabomber
(University Airline Bomber). La caccia all’uomo che l’Fbi
organizzò – per catturarlo infine solo nel 1996 – è stata la più costosa della
storia. Rifugiatosi nel Montana in una capanna, Kaczynski fu condannato per
aver inviato pacchi postali esplosivi nell’arco di diciotto anni, giustificando
i propri atti come tentativi di combattere i pericoli del progresso tecnologico.
Ma cosa spinge, in effetti, l’uomo a fuggire dalla realtà?
A cercare un luogo dove isolarsi in una sorta di esilio volontario, piuttosto
che arrendersi all’evidenza dei fatti? È la sopravvivenza a muovere in questa
direzione? In
Chasing Napoleon, i lavori di diciotto artisti esprimono in primo luogo un
forte desiderio di ritorno a una natura anarco-primitiva.
È infatti possibile vedere la riproduzione a grandezza
naturale della baracca di Kaczynski, luogo di vita ma anche reliquia profana di
un mondo alternativo, realizzata dall’artista polacco
Robert Kusmirowski. Come pure è possibile percorrere
Spider Hole di
Christoph Büchel,
ricostruzione fedele del nascondiglio finale di Saddam Hussein, realizzata in
fango e polvere; oppure
Nathaniel knows, opera di
Ryan Gander che funge da giardino segreto
nell’angolo di una stanza buia: reale finzione, ma anche indizio utile
nell’inseguimento.
La fuga, e la conseguente caccia a cui fa riferimento il
curatore Marc-Olivier Wahler, supera ogni vicenda individuale, ogni precisa
storiografia. E giunge dunque a descrivere una condizione universale dell’uomo
contemporaneo: la clandestinità nell’insopprimibile impulso a cambiar luogo,
contesto, lingua, idee. Con il rischio del fallimento.
Alla ricerca di tracce sicure, come un investigatore,
si muove il collettivo
Dora
Winter. Gli
artisti ricostruiscono la collezione di libri di Unabomber (duecentocinquanta
volumi in varie lingue e di diversi periodi, dalla biografia di Napoleone a
testi di botanica) che permettono di entrare nella sua psiche valutando – da
spettatori e inesperti criminologi – la pericolosità dei testi accatastati.
Attraverso
Vorkuta, con una sorta di celebrazione del vuoto, è
presente l’italiana
Micol Assaël. Oltre a essere il titolo dell’installazione, Vorkuta è
anche il nome di un villaggio siberiano un tempo famoso per le miniere, ma che
il rigido clima ha reso disabitato. L’opera permette di fare esperienza, e
dunque di appropriarsi, dello spazio di una cella frigorifera immersa nella
desolazione. È una stanza-ufficio in cui la natura, con l’asprezza delle sue temperature,
riconquista i propri diritti sull’uomo, governando su ogni aspetto della
società e regolando i metodi di produzione.
E se
Chasing Napoleon non troverà l’imperatore, come nella ricerca
sull’occulto e le utopie dell’installazione mandala di
Paul Laffoley, la mostra diventa rifugio al
limite del visibile. Un luogo dove ascesa e caduta si estendono alla realtà
stessa.